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    Il Rene

    Frank Steinbach – Gianluca D’Elia – Hubertus Riedmiller – Rudolf Hohenfellner

    Introduzione

    L’accesso sopracostale costituisce una via di accesso extra-peritoneale classica che può essere utilizzata per gli interventi sul rene, surrene ed uretere prossimale (1). Nelle affezioni non tumorali del rene si può procedere attraverso un’incisione lungo PXI spazio intercostale. La lunghezza dell’incisione dipende dalla procedura chirurgica prevista e può comunque, qualora occorra, essere ampliata cranialmente e caudalmente. Negli interventi condotti per neoformazioni ad origine renale l’incisione può essere eseguita lungo il X spazio intercostale, mentre nei processi benigni del surrene lungo il IX o addirittura l’VIII spazio. Nei casi in cui si sospetti una neoformazione maligna del surrene l’approccio torace-addominale risulta preferibile.

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    Vantaggi

    – Approccio extra-peritoneale. – Sezione minimale della muscolatura addominale laterale. – Consente di preservare le strutture vascolari e nervose intercostali, così come il nervo ileo-inguinale ed il nervo ileo-ipogastrico. – Evita le resezioni costali. – Permette l’esposizione ottimale della loggia renale, del surrene e dell’uretere prossimale. – Esita in una perfetta tenuta della ferita chirurgica in considerazione della semplicità di chiusura e della preservazione delle coste.

    Svantaggi

    – Rischio di una lesione della pleura, dato che essa risulta aderente alla metà della dodicesima costa. Al fine di evitare lesioni pleuriche è necessario ribaltare ampiamente il foglietto pleurico dalla parete toracica laterale prima del posizionamento dei divaricatori. – Rischio della frattura di un arco costale in caso di eccessiva trazione dei divaricatori.

    Strumentario

    – Retrattore di Wickham, di Finochietto o di Balfour. – Sutura monofilamento riassorbibile 5/0 o 4/0, rispettivamente per piccole o grandi lesioni pleuriche (ad es. poligliconato=Maxon, o polidiossanone=PDS). – Sutura riassorbibile per chiusura della fascia e della muscolatura, 1/0 per gli adulti, 2/0 per i bambini (ad es. acido poliglicolico=Dexon). – Drenaggio in silastic 12-20 Charr (ad es. drenaggio di Robinson).

    Tecnica operatoria

    – Posizionamento del paziente in decubito laterale iperesteso. – Incisione cutanea lungo il margine superiore della XI costa a partire dal margine laterale della massa sacrospinale fino a ca. 7 cm ventralmente all’apice costale. Sezione dei muscoli grande dorsale e serrato postero-inferiore a livello del margine craniale dell’incisione e lungo il margine costale superiore. Il nervo sottocostale viene risparmiato, a differenza dell’approccio sottocostale. – Incisione del foglietto profondo della fascia lombodorsale. – Il peritoneo viene spostato per via smussa in senso mediale. I muscoli obliquo esterno, obliquo interno e trasverso vengono sezionati per alcuni centimetri in direzione ventrale. – Sezione della muscolatura intercostale alla sua inserzione periostale a partire dall’apice costale e lungo il margine superiore della costa. – Si ribalta medialmente e cranialmente la pleura dalla parete toracica per via smussa. – In presenza di aderenze costali, la pleura può anche essere mobilizzata con le forbici. Punto di repere è rappresentato in questo caso dal fascio neurovascolare sottocostale, che va risparmiato al fine di evitare l’insorgenza di un lombocele. – Sezione del legamento costo-vertebrale di Henle per permettere un’adeguata mobilizzazione costale ed una ottimale esposizione della loggia renale. – Previo posizionamento del divaricatore si incide la fascia di Gerota parallelamente all’asse longitudinale del rene. – Chiusura della parete.

    Decorso post-operatorio

    – Il dolore a livello della ferita chirurgica può essere facilmente controllato intra- e post-operatoriamente tramite infiltrazione locale di anestetici a livello dei nervi intercostali facilitando in tal modo la mobilizzazione precoce del paziente. Un effetto analogo può essere ottenuto post-operatoriamente attraverso l’infusione analgesica continua tramite un catetere peridurale introdotto pre-operatoriamente. – La sezione dei fasci nervosi afferenti può indurre parestesie ed iperreflessie in un’area variabile di 5-6 cm di diametro massimo a partire dall’estremità distale della costa interessata; tali disturbi regrediscono comunque spontaneamente in un periodo di 3-6 mesi senza necessitare di alcuna terapia. – La lesione di fasci nervosi efferenti può indurre una paresi della muscolatura addominale laterale predisponendo all’insorgenza di un lombocele.

    Situazioni particolari: procedure in caso di lesioni pleuriche

    – Rimozione dei divaricatori e riposizionamento del paziente dal decubito laterale iperesteso alla fine dell’intervento. – Sutura con punti staccati o in continua in monofilamento (Maxon o PDS). – In caso di lesioni pleuriche maggiori è possibile includere nella sutura il margine del diaframma. – Prima di annodare l’ultimo punto è opportuno far distendere il polmone da parte dell’anestesista con pressione di ventilazione positiva al fine di ridurre al minimo la presenza di aria nel cavo pleurico. – La tenuta della sutura pleurica può essere controllata intraoperatoriamente attraverso la cosiddetta “prova d’acqua”, che consiste nel riempire con soluzione fisiologica la ferita chirurgica sino al margine superiore ed osservare se durante l’inspirazione si formano delle bolle d’aria. – Nei casi di lesioni pleuriche localizzate lateralmente, per ovviare alle difficoltà tecniche di una sutura, si è dimostrato vantaggioso il posizionamento intraoperatorio di un drenaggio toracico, fatto fuoriuscire dall’angolo laterale della ferita sul margine superiore di una costa. – Nell’immediato post-operatorio è necessario effettuare, dopo ogni lesione pleurica, un controllo radiologico del torace al fine di escludere la presenza di un pneumotorace. Un pneumotorace di ampiezza massima di 1-2 cm può essere trattato conservativamente con la fisioterapia respiratoria, mentre in casi di estensione maggiore è necessario il posizionamento di un drenaggio collegato a una valvola ad acqua.

    Introduzione

    LA PIELOPLASTICA SECONDO ANDERSON-HYNES La tecnica di ureteropieloplastica con resezione del giunto pieloureterale (“dismembered pyeloplasty”) e riduzione dell’ampolla è stata descritta per la prima volta nel 1949 da Anderson e Hynes in un caso di uretere retrocavale (2). La resezione e rimodellamento ampollare hanno il fine di ridurre il volume della pelvi dilatata e dinamicamente compromessa. A prescindere dalla eziopatogenesi, primaria o secondaria, organica o funzionale, della stenosi giuntale, la tecnica di Anderson-Hynes permette di correggere la quasi totalità delle ostruzioni giuntali e viene per questo universalmente utilizzata.

    Indicazioni

    – Dilatazione sonografica pielica ed aspetto urografìco classico del sistema pielocaliceale in presenza di sintomatologia tipica (ad es. dolori lombari a seguito di assunzione di liquidi). Nei casi dubbi è utile somministrare 0,5 mg furosemide/kg peso corporeo ed osservare la velocità di transito del mezzo di contrasto radiologico in urografia. – Incremento della dilatazione pielocaliceale ed eventuale perdita di funzionalità renale durante il follow-up di pazienti asintomatici inizialmente osservati. – Diagnosi scintigrafìca dinamica con mercaptoacetiltriglicerina (MAG 3) con eliminazione (washout) del tracciante isotopico inferiore al 50 dopo somministrazione di furosemide. – Complicanze della stenosi giuntale quali calcolosi associata, infezioni ricorrenti e sanguinamenti. – Stenosi bilaterale. In questi casi si procede ad eseguire l’intervento primario a livello del rene con funzione migliore. Dopo essersi accertati del risultato favorevole può essere accettabile ricorrere alla nefrectomia controlaterale.

    Controindicazioni

    – Funzione renale inferiore al 15 nel renogramma isotopico con dimercaptosuccinato (DMSA). In questi casi è indicata la nefrectomia, sempre che il rene controlaterale abbia conservato una funzione adeguata. Nei casi dubbi, è utile posizionare una nefrostomia percutanea e rivalutare la funzionalità renale eseguendo una nuova scintigrafia renale sequenziale a 2-3 mesi di distanza.

    Strumentario

    – Forbici di Pott. – Splint ureterale in silastic 6 Charr. – Pielostomia in silastic 8 Charr. – Sutura 6/0 o 7/0 a breve tempo di riassorbimento montata su ago atraumatico (ad es. catgut cromico). – Occhiali per ingrandimento del campo operatorio.

    Tecnica operatoria

    – Accesso sopracostale sul margine superiore della XII costa. – Apertura della fascia di Gerota e del grasso perirenale e posizionamento del divaricatore. – Identificazione ed isolamento dell’uretere prossimale fino alla pelvi. – Lisi di aderenze e tessuto cicatriziale periureterale facendo attenzione a non ledere l’avventizia ureterale. – Identificazione di vasi renali polari anomali. – Le superfici dorsale e ventrale della pelvi renale extra-renale vengono liberate dalle lacinie del tessuto fibroso circostante. Spesso coesistono stenosi giuntali intrinseche ed estrinseche, così che, seppur dopo la preparazione del giunto e la lisi di aderenze la stenosi appaia macroscopicamente risolta, è comunque opportuno ricorrere alla pieloplastica. – Punti di trazione medialmente al giunto, a livello dell’angolo prossimale della pelvi ed a livello dell’avventizia ureterale caudalmente alla stenosi. – Incisione longitudinale della pelvi. – Resezione del tratto stenotico. – Ispezione della pelvi, eventuale rimozione di calcoli concomitanti e lavaggio del sistema pielocaliceale con soluzione fisiologica. – Incisione triangolare a partire da 12-15 nini dall’estremità più caudale della pelvi, prolungata in senso prossimale per una lunghezza di ca. 12-18 mm sulle superfici pieliche dorsale e ventrale, in modo da permettere di eseguire un’anastomosi senza tensione e di creare un giunto declive ed imbutiforme (3). – Resezione ampollare. Al fine di evitare lesioni dei colletti caliceali extra-renali è necessario limitare l’estensione di questa resezione, in particolare in presenza di sistemi dicotomici. Inoltre una resezione ampollare eccessiva potrebbe rendere la sutura tecnicamente difficile, in quanto l’ampolla potrebbe retrarsi ed infossarsi nel seno renale. – Spatolazione mediale dell’uretere prolungata per una lunghezza di ca. 3 cm oltre la stenosi fino a livello della dilatazione ureterale post-stenotica. – Punto di ancoraggio a livello del punto più distale del lembo pielico triangolare e dell’incisione ureterale. – Anastomosi introflettente, a punti staccati, della parete pielica posteriore con l’uretere. – Posizionamento dello splint ureterale e della pielostomia, posizionata a livello del gruppo caliceale superiore, fatti fuoriuscire entrambi dalla parete pielica posteriore e fissati con catgut 4/0. Lo splint ureterale ha la funzione di intubare l’anastomosi pieloureterale. – Anastomosi introflettente, a punti staccati, della parete pielica anteriore con l’uretere. – Sutura della restante porzione pielica a punti staccati o in continua. – Controllo dell’impermeabilità della sutura tramite irrigazione pielostomica e controllo del libero drenaggio dalla pielostomia e dallo splint ureterale. – Al fine di evitare future aderenze tra uretere, muscolo psoas e polo renale inferiore con conseguente stenosi ureterale da compressione estrinseca, si protegge l’anastomosi con il grasso perirenale. Alternativamente si può utilizzare a questo scopo un lembo omentale peduncolizzato. – Una nefropessi laterale è necessaria solo nei casi in cui l’uretere decorra al di sotto del polo renale inferiore a causa di una malrotazione renale. – Posizionamento di un drenaggio in silicone extra-ferita, così come per lo split ureterale e la pielostomia. – Chiusura della ferita.

    Tricks of the trade

    – La derivazione urinaria duplice, tramite pielostomia di minima ed intubazione trans-anastomotica con splint ureterale, presenta numerosi vantaggi: 1) drenaggio urinario sicuro in caso di blocco di uno dei due sistemi con coaguli sanguigni (irrigazione possibile tramite entrambi i sistemi). 2) si evita in tal modo che si creino estravasati o urinomi, che potrebbero, quando consolidati, comportare compressioni estrinseche dell’anastomosi. 3) la pressione pielica può essere misurata, una volta rimosso lo splint ureterale, con un sistema chiuso collegato alla pielostomia direttamente al letto del paziente (analogo alla misurazione della pressione venosa centrale); se nella norma (< 12-15 cm H^O), la pielostomia può essere chiusa e poi rimossa dopo un controllo radiografico. – L’interruzione di vasi renali polari anomali va sempre evitata, in quanto comporta l’ischemia di una porzione di parenchima renale con conseguente rischio di ipertensione arteriosa secondaria. L’anastomosi pieloureterale dovrebbe giacere sempre anteriormente al peduncolo vascolare anomalo e dovrebbe sempre essere circondata dal grasso perirenale o da un lembo omentale peduncolizzato in modo da evitare un diretto contatto con i vasi ad essa retroposti.

    Decorso post-operatorio

    – Rimozione del drenaggio in 3.-5. giornata post-operatoria. – Rimozione dello splint ureterale in 8. giornata. – In 9. giornata viene misurata la pressione pielica: se inferiore a 15 cm H20, la pielostomia può essere rimossa previa pielografia anterograda trans-pielostomica o urografia endovenosa. Se la pressione risulta superiore a 15 cm H20, o se il paziente non tollera la chiusura della pielostomia, si lascia la pielostomia in situ per un’ulteriore settimana e si somministra diclofenac, sulla base dell’ipotesi di un edema residuo a livello anastomotico. – In pazienti con calcolosi associata si consiglia una profilassi antibiotica orale post- operatoria per alcune settimane (trimetoprim o nitrofurantoina). – Controllo Geografico a 3-4 settimane di distanza dall’intervento e, successivamente, ad intervalli semestrali. – Renografia isotopica di controllo solo in casi selezionati.

    Bibliografia

    1. Turner-Warwick R. The supracostal approach to the renal area. Br J Urol 1965; 37: 671.2. Anderson JC, Hynes W. Retrocaval ureter. A case diagnosed preoperatively and treated succesfully by a plastic operation. Br J Urol 1949; 21: 209.3. Sigel A, Held L. Die Zugangswege der Nierenchirurgie. Urologe A 1963; 2: 144.

    Vito Pansadoro – Paolo Emiliozzi – Manlio Cappa – Maurizio Pizzo

    Introduzione

    L’accesso chirurgico al rene può essere anteriore, laterale o posteriore. La via anteriore trans-peritoneale viene preferita per la chirurgia oncologica in quanto consente un miglior controllo vascolare. Il trauma chirurgico, peraltro, risulta ingiustificato in caso di patologia non neoplastica. La via di accesso laterale, o antere-laterale extra-peritoneale, è senz’altro usata più frequentemente. Permette una esposizione ottimale e può essere utilizzata, in pratica, per ogni tipo di patologia. Lo svantaggio di questa via di accesso è che comporta la sezione di tre muscoli e, talora, il rischio di una lesione dei nervi intercostali con risultante ipotonia della parete addominale. In genere è una via di accesso associata a dolore post-operatorio, anche se l’anestesia locale dei nervi intercostali può essere d’aiuto. La via di accesso posteriore è certamente la meno traumatica perché non richiede la sezione di alcun muscolo. La lombotomia posteriore fu usata per la prima volta nel 1870 da G. Simon ad Heidelberg (1), che attraverso questa via, eseguì la prima nefrectomia riportata in letteratura. Modifiche relative furono apportate in seguito da Guyon (2), Rosenstein (3), e Gil-Vernet (4). Nel 1956 Lurz pubblicò, per la prima volta, la sua via di accesso posteriore che si differenzia dalle altre perché segue la proiezione, obliqua, del quadrato dei lombi e permette una esposizione rapida, molto più ampia, senza necessità di un trauma chirurgico maggiore (5). Infatti, l’originalità dell’approccio di Lurz si configura nell’incisione obliqua, eseguita sulla proiezione cutanea del quadrato dei lombi, e sul fatto che la sezione del legamento costo-vertebrale di Henle, con conseguente mobilizzazione della XII costa, permette di ottenere una esposizione decisamente superiore rispetto alle altre vie di accesso posteriore (6). La modifica di Lurz, pur conservando i vantaggi della lombotomia posteriore tradizionale, consente un’esposizione comparabile a quella offerta dall’accesso laterale classico. Lo spazio che l’urologia moderna ha riservato alla lombotomia posteriore è certamente limitato. Il campo di azione si limita alla pelvi renale, all’uretere lombare prossimalmente alla cresta iliaca, ed al polo inferiore del rene. La litotrissia extracorporea, la chirurgia percutanea, la laparoscopia e l’endourologia ci permettono di risolvere in maniera più “economica” gran parte della patologia per la quale l’accesso posteriore era utilizzato. La stenosi giuntale, tuttavia, rimane a tutt’oggi una indicazione per la chirurgia a cielo aperto e l’accesso posteriore è certamente il più indicato (7). Inoltre, aumentando l’esperienza, ove si voglia, è possibile eseguire per questa via anche resezioni polari inferiori e nefrectomie per piccoli reni. Tuttavia la lombotomia posteriore è controindicata nelle patologie oncologiche.

    Vantaggi

    – Evita la sezione di muscoli (approccio “transfasciale”). – Dolore post-operatorio minimo. – Tempi di apertura e chiusura veloci. – Tempo di ospedalizzazione ridotto. – Posizione della cicatrice.

    Svantaggi

    – Limitata esposizione. – Difficoltà di controllo di una eventuale emergenza vascolare. – Difficoltà di approccio al polo renale superiore.

    Tecnica operatoria

    – Posizionamento del paziente (eseguito personalmente dal chirurgo): l’asse latero- laterale deve formare un angolo di 45° con il piano orizzontale; il tronco viene ruotato ventralmente ed il bacino dorsalmente, per permettere una migliore apertura dello spazio lombo-dorsale. – La regione lombo-dorsale è delimitata da tre punti di repere ossei: la cresta iliaca, la XII costa ed i processi spinosi delle vertebre lombari. Compresi tra queste tré strutture si trovano i muscoli sacrospinale, facilmente individuabile, e quadrato dei lombi, idealmente localizzabile. Quest’ultimo muscolo si inserisce prossimalmente sulla parte mediale della XII costa e distalmente sul terzo medio della cresta iliaca. Il suo terzo prossimale è coperto dalla massa sacrospinale. – Incisione cutanea sulla proiezione cutanea del quadrato dei lombi, a partenza dall’angolo costovertebrale a cavallo della massa sacrospinale e, seguendo una direzione obliqua, fino alla cresta iliaca, 3-4 cm davanti al margine anteriore della massa del muscolo sacrospinale. – L’incisione dei piani muscolari sottostanti ha la forma ideale di una “Y” con il muscolo sacrospinale contenuto tra le due braccia della “Y”. – Sezione dell’inserzione delle fibre del muscolo grande dorsale fino a mettere in evidenza, nella metà craniale dell’incisione, il foglietto superficiale della fascia lombo- dorsale (braccio superficiale della “Y”). – Incisione della fascia lombo-dorsale. Appaiono le fibre del muscolo sacrospinale, facilmente riconoscibili in quanto si estendono in senso cranio-caudale. – Si procede con la sezione della fascia lombo-dorsale e si prepara il muscolo sacrospinale, che viene circondato e divaricato medialmente e posteriormente. – Al di sotto del muscolo sacrospinale appare l’aspetto anteriore (profondo) della fascia lombo-dorsale (braccio profondo della “Y”), la cui sezione dev’essere estesa cranialmente fino ad interessare il legamento costo-vertebrale di Henle. – Si completa la sezione della fascia lombo-dorsale distalmente (stelo della “Y”) in corrispondenza del quadrato dei lombi, seguendo accuratamente la direzione delle fibre muscolari dello stesso. Così facendo è stata completata la sezione della “Y” ideale ed è sufficiente divaricare posteriormente il quadrato dei lombi per “aprire” il fianco del paziente. – Spostando posteriormente il quadrato dei lombi si mettono in evidenza la fascia trasversale ed i nervi ileo-ipogastrico ed ileo-inguinale, che decorrono parallelamente all’incisione cutanea. – La fascia trasversale va sezionata longitudinalmente, tra i due nervi, che vengono caricati e divaricati con due divaricatori di Richardson ottenendo così l’accesso allo spazio retroperitoneale.

    Tricks of the trade

    – II tavolo operatorio non va “spezzato” perché i muscoli non devono essere stirati bensì rilassati in modo da permettere una facile divaricazione in senso latero-laterale. – La preparazione e sezione delle varie strutture anatomiche deve avvenire in maniera progressiva e corretta in modo da “aprire” il fianco senza danneggiare i muscoli ed i nervi contenuti nella regione. – Il legamento costo-vertebrale di Henle si trova tra il sacrospinale ed il quadrato dei lombi e dev’essere sezionato a questo livello, in modo da non danneggiare il nervo ileo-ipogastrico, che emerge al di sotto del quadrato dei lombi. La sezione di questo legamento è peculiare della tecnica di Lurz e permette la mobilizzazione anteriore della XII costa, con la conseguenza di ampliare in maniera significativa il campo operatorio.

    Introduzione

    LA PIELOPLASTICA A LEMBO La stenosi giuntale, nonostante l’introduzione della endopielotomia e della pieloplastica laparoscopica rimane a tutt’oggi una patologia di pertinenza chirurgica. Tra le varie tecniche proposte nel corso degli anni, la pieloplastica sec. Anderson- Hynes, con la sezione del giunto ed il rimodellamento della pelvi, è stata universalmente adottata per la semplicità della tecnica chirurgica e l’alta percentuale di successo, che si avvicina al 95 (vedi capitolo 2.1 – Accesso sopracostale e pieloplastica sec. Anderson-Hynes). La pieloplastica a lembo presenta dei vantaggi rispetto alla tecnica classica di Anderson-Hynes, permettendo la costruzione di un giunto declive, imbutiforme e soprattutto non interferendo con la vascolarizzazione dell’uretere (8, 9). Infatti la continuità dei tessuti non viene interrotta assicurando il rispetto della vascolarizzazione. Inoltre, affinchè un giunto possa funzionare in maniera ottimale, è necessario che l’imbutizzazione sia graduale ed il giunto declive. E evidente che la ricostruzione del giunto piolo-ureterico facendo uso di un lembo di pelvi risponde in maniera ottimale a questi due requisiti. Qualora sia presente un vaso polare inferiore è facile spostare il nuovo giunto in una posizione diversa, evitando la compressione vascolare. Infine, nei casi in cui la stenosi giuntale sia associata ad ipoplasia o stenosi dell’uretere lombare, la pieloplastica a lembo permette la risoluzione di entrambe le patologie. In particolar modo, nei casi di stenosi recidiva, la plastica a lembo consente di utilizzare tessuto indenne e ben vascolarizzato. Anche in caso di stenosi dell’uretere prossimale, se la pelvi è ampia, è possibile utilizzare il lembo pielico. Data la sua versatilità, il lembo pielico costituisce un particolare di tecnica che dovrebbe far parte del bagaglio operatorio di ogni urologo, se non altro per essere utilizzato in quei casi in cui rappresenta l’unica possibilità di ricostruzione dell’alta via escretrice.

    Indicazioni

    – Tutti i casi di stenosi del giunto pielo-ureterale, in particolare con idronefrosi a preponderante sviluppo extrarenale dell’ampolla, impianto ureterale basso e stenosi estese dell’uretere prossimale.

    Controindicazioni

    – Impianto alto del giunto pielo-ureterale.

    Strumentario

    – Divaricatori di Richardson. – Divaricatore autostatico da parete (Bookwalter). – Divaricatori da seno renale (Gil-Vernet).

    Tecnica operatoria

    – Lombotomia posteriore. – Apertura della capsula di Gerota lungo il suo aspetto posteriore. – Identificazione dell’uretere lombare. – Posizionamento di un divaricatore autostatico. – Si segue quindi l’uretere in senso craniale fino a raggiungere e preparare il giunto e la pelvi renale. – Posizionamento di due divaricatori di Gil-Vernet nel seno renale per esporre la pelvi e per superficializzare il rene. – 3 punti di trazione sulla pelvi renale, delimitanti la base e la lunghezza del lembo che sarà utilizzato per la pieloplastica. – Incisione a partire dal seno renale, in corrispondenza di quella che sarà la base del lembo, prolungata lungo un’ampia curva che circoscrive il lembo pielico e quindi distalmente, attraversando il giunto e proseguendo lungo l’uretere per una lunghezza pari a quella del lembo stesso. – Si ribalta in basso il lembo e lo si accosta all’estremità distale della ureterotomia. – Sutura tra margine laterale del lembo pielico e margine mediale dell’uretere con una continua in poliglactina 5/0 (Vicryl) iniziando dall’apice del lembo. – Sutura anteriore fino a raggiungere e superare il giunto al cui livello viene automaticamente inserito il lembo pielico. – Rimodellamento della pelvi, ove necessario, ottenuto resecando la parete anteriore in eccesso. – Si completa la chiusura della pelvi prolungando cranialmente la sutura. – Nella donna drenaggio delle vie urinarie per mezzo di uno stent a doppio J. Nei maschi e nei bambini tramite pielostomia percutanea e stent ureterale, che, attraverso il giunto, giunge fino all’uretere lombare in modo da impedire aderenze tra le due linee di sutura.

    Tricks of the trade

    – Il rapporto tra la lunghezza e la base del lembo deve essere 3:1, in modo da evitare il rischio di una ischemia dell’estremità del lembo.

    Decorso post-operatorio

    – Dimissione in 3.-5. giornata post-operatoria, in considerazione della minima morbidità della via d’accesso posteriore. – Nelle pazienti di sesso femminile, rimozione dello stent a doppio J 21 giorni dopo l’intervento. – Nei pazienti portatori di uno stent ureterale trans-anastomotico modellante, questo viene rimosso dopo una settimana. Dopo 24 ore viene eseguita una pielografia anterograda trans-pielostomica, con misurazione della pressione di deflusso. Se il transito avviene regolarmente e la pressione pielica risulta inferiore a 15 cm H2O, la pielostomia può essere rimossa.

    Bibliografia

    1. Simon G. Extirpation einer Niere am Menschen. Dtsch Klin 1870; 22: 137.2. Guyon F. LeVons cliniques sur le maladies des voies urinaires. Paris, J.B. Ballière, 1881.3. Rosenstein P. Ein funktioneller Lumbalschnitt zur Freilegung der Niere. Z Urol Chir 1925; 7: 119.4. Gil-Vernet J. New surgical concept in removing renal calculi. Urol Int 1965; 20: 255.5. Lurz L, Lurz H. Die Eingriffe an den Harnorganen, Nebennieren und maennlichen Geschlechtsorganen. Allgemeine und spezielle chirurgische Operationslehre. 2. Auflage. Guleke N, Zenler R (eds.). Berlin, Springer Verlag, 1961.6. Lutzeyer W, Lymberoupoulos S. Der lumbodorsale Zugang zur Niere (Lurz): Indikation, klinische Erfahrung und kritische Beurteilung. Urologe A 1970; 9: 324.7. Pansadoro V. The posterior lumbotomy. Urol Clin North Am 1983; 10: 573.8. Culp OS, De Weerd JH. Pelvic flap operation for certain types of ureteropelvic junction obstruction: preliminary report. Proc Staff Meet Majo Clin 1951; 26: 483.9. Scardino PL, Prince CL. Vertical flap ureteropyeloplasty: preliminary report. South Med J 1953; 46:325.

    Luciano Giuliani

    Introduzione

    Gli obiettivi della chirurgia radicale per neoplasie renali sono essenzialmente rappresentati da: 1) scelta della via d’accesso più congrua (1, 2); 2) tempo arterioso preliminare a loggia intatta (asepsi neoplastica) (3); 3) linfadenectomia estesa dal pilastro diaframmatico alla biforcazione aortica o, quanto meno, all’emergenza dell’arteria mesenterica inferiore (4); 4) estensione dell’exeresi al bisogno: 5) controllo della progressione tumorale lungo l’asse cavo-atriale; 6) exeresi delle metastasi chirurgiche a distanza.

    Tecnica operatoria

    VIE D’ACCESSO – Se si accetta il principio che la nefrectomia radicale debba essere realizzata previo controllo vascolare a loggia intatta e dopo ischemizzazione della massa renale ai fini dell’asepsi neoplastica, ci si convince che nessun accesso sia più logico di quello trans- peritoneale anteriore. – L’accesso a lembo epigastrico sottocostale è indicato nelle neoplasie renali monolaterali. L’incisione decorre, per un primo tratto, xifo-ombelicale, rigorosamente mediana, e viene deviata in prossimità dell’ombelico fino a raggiungere trasversalmente il fianco. – La grande incisione trasversale è indicata per le neoplasie bilaterali e viene condotta con decorso pressoché orizzontale o leggermente arcuato, a concavità inferiore, a metà strada fra il processo xifoideo e l’ombelico. Alternativamente, la curva può essere accentuata fino a far assumere all’incisione il classico aspetto ad accento circonflesso, tipo Chevron. Una esposizione ancora migliore si ottiene con un accesso ad Y rovesciata (tipo Mercedes). – Nei casi di trombosi neoplastica cavale sovraepatica o di infiltrazione neoplastica della parete cavale l’accesso più consono è quello toraco-freno-laparotomico a destra e sterno-laparotomico a sinistra. – L’accesso toraco-freno-laparotomico prevede una incisione dall’ombelico alla punta delI’VIII costa e poi sul decorso delI’VIII costa. – L’accesso sterno-laparotomico si estende dall’ombelico in basso alla III-V costa in alto. ACCESSO PRELIMINARE ALL’ARTERIA RENALE – Ribaltamento craniale del grande omento e del trasverso, identificazione e stiramento della prima ansa digiunale. – Isolamento e sezione del legamento di Treitz, scollamento della quarta porzione duodenale, disinserzione della radice del mesentere, accesso allo spazio retroperitoneale. – La vena mesenterica inferiore può essere sezionata qualora risulti di ostacolo nel raggiungimento dell’emergenza arteriosa renale. – L’arteria renale sinistra si individua sotto o dietro la vena renale sinistra, prima struttura ad essere identificata e cautamente divaricata. – L’arteria renale destra viene evidenziata divaricando la vena renale sinistra, la vena cava e l’aorta, realizzando cioè lo spazio virtuale inter-aortocavale. L’accesso allo spazio inter-aortocavale comporta sempre l’inizio di una linfadenectomia interaortocavale. Nei casi di difficile individuazione si può ricorrere ad un accesso sopramesoeolico con il bordo inferiore del pancreas e lo stomaco reclinati in alto ed il colon trasverso in basso. Quanto più alta è l’emergenza dell’arteria renale destra, tanto maggiore è il rischio di scambiarla con l’arteria mesenterica superiore, la quale ha però un’emergenza più anteriore e, quando lo scollamento duodenopancreatico è realizzato, si dirige francamente verso l’alto. NEFRECTOMIA RADICALE DESTRA – Una volta isolata, clampata, sezionata e legata l’arteria renale destra si effettua lo scollamento colo-parietale destro (lungo la linea di Toldt) e della seconda porzione duodenale per aprire il piano di clivaggio sottomesocolico e sottoduodenale – Si realizzano poi uno scollamento duodeno-pancreatico ed una derotazione intestinale completi, sì da collegare lo spazio così creato con il limitato accesso contiguo trans-peritoneale posteriore mediano eseguito per il tempo arterioso preliminare. – Si isola, clampa, seziona e lega la vena renale destra. – Sezione dell’uretere e dei vasi gonadici a livello iliaco ed allo sbocco cavale ed origine aortica. – Exenteratio della loggia renale destra, clivando in blocco rene e surrene, previa sezione delle vene surrenaliche. – Linfadenectomia ilare, para- e retrocavale, ed inter-aortocavale dal diaframma alla biforcazione aortica (descritta in seguito). NEFRECTOMIA RADICALE SINISTRA – Una volta isolata, clampata, sezionata e legata l’arteria renale sinistra si effettua lo scollamento colo-parietale sinistro e la disinserzione della flessura colica sinistra tramite sezione del legamento splene-colico. – Medializzazione del colon sinistro. – Si isola, clampa, seziona e lega la vena renale sinistra. – Sezione dell’uretere e dei vasi gonadici a livello iliaco. – Exenteratio della loggia renale sinistra, clivando in blocco rene e surrene, previa sezione delle vene surrenaliche. – Linfadenectomia ilare, para- e retroaortica, ed inter-aortocavale dal diaframma alla biforcazione aortica (descritta in seguito). LINFADENECTOMIA PER NEOPLASIA RENALE DESTRA – Si inizia con la linfadenectomia inter-aortocavale in corso di accesso preliminare all’arteria renale destra, rimuovendo il tessuto linfatico a partire da ca. 2 cm a monte della crosse renale, marcando con clip i collettori craniali. – Contestualmente all’exenteratio della loggia si procede alla linfadenectomia in blocco ilare e paracavale. – Linfadenectomia retrocavale. – Si conclude la linfadenectomia inter-aortocavale, rimuovendo i linfonodi interaortocavali residui dal pilastro del diaframma all’emergenza dell’arteria mesenterica inferiore o fino alla biforcazione aortica. – La cisterna chili (situata nello spazio inter-aortocavale a livello di L1-L2, in prossimità dell’arteria renale destra) ed i linfatici ad essa afferenti dovranno essere occlusi con clip metalliche. – In caso di coinvolgimento linfonodale macroscopicamente evidente, si possono rimuovere il ganglio celiaco e la catena simpatica lombare contestualmente ai linfonodi neoplastici, effettuando una sospensione della cava previa sezione delle vene lombari e comprendere eventualmente nell’exeresi anche i linfonodi controlaterali (iuxta- e retroaortici) ed i linfonodi iliaci comuni omolaterali. – In caso di linfonodi macroscopicamente normali, la catena simpatica può essere facilmente identificata e risparmiata. LINEADENECTOMIA PER NEOPLASIA RENALE SINISTRA – Si inizia con la linfadenectomia pre-aortica ed ilare che consente l’accesso all’emergenza dell’arteria renale sinistra. – Effettuati il tempo arterioso sinistro e l’exenteratio della loggia si procede con la rimozione dei linfonodi paraaortici contestualmente al contenuto della loggia. La linfadenectomia va eseguita dal pilastro diaframmatico all’emergenza dell’arteria mesenterica inferiore. – Si prosegue a livello retroaortico ed eventualmente inter-aortocavale, realizzando, se è il caso, la sospensione dell’aorta previa sezione delle arterie lombari. – Anche da questo lato il comportamento nei confronti del ganglio celiaco e della catena simpatica lombare potrà variare in rapporto al grado di coinvolgimento linfonodale. – In ogni caso, i legamenti pre-vertebrali, i pilastri diaframmatici ed il margine mediale dello psoas dovranno essere accuratamente esposti.

    Situazioni particolari: trombosi neoplastica dell’asse cavo-atriale

    Il fine deve essere la completa asportazione del trombo neoplastico. Infatti, la nefrectomia con semplice legatura della vena renale, senza la rimozione del tumore intra-cavale, oltre a comportare rischi intraoperatori immediati di embolia, è seguita da insorgenza di metastasi a breve termine. Per raggiungere tale scopo con mortalità e morbilità minime è indispensabile conoscere pre-operatoriamente e con precisione il limite craniale del trombo (che segue la direzione della corrente venosa) a mezzo di una risonanza magnetica (5). Infatti, la tattica operatoria deve essere programmata principalmente in funzione dell’esatto livello del tumore lungo l’asse cavo-atriale (6). TROMBOSI NEOPLASTICA LIMITATA ALLA VENA RENALE CON PROTRUSIONE IN VENA CAVA INFERIORE – Accesso anteriore trans-peritoneale. – Sezione dell’arteria renale all’emergenza aortica e dell’uretere in fossa iliaca. – Isolamento della vena cava inferiore sopra e sotto lo sbocco delle vene renali. – Posizionamento di una pinza emostatica di Satinsky che escluda dal circolo la vena renale ed una porzione di cava. – Sezione della cava lungo la Satinsky e rimozione del rene con nn segmento di cava. – Non è necessario clampare la vena renale controlaterale e la cava a monte e a valle del trombo. – Sutura della breccia cavale. TROMBOSI NEOPLASTICA ESTESA ALLA VENA CAVA INFRA-EPATICA – Accesso trans-peritoneale o toraco-freno-laparotomico, quest’ultimo specie per i tumori destri. Infatti, tramite quest’accesso si potranno, se necessario, agevolmente sezionare i legamenti epatici triangolare e coronario di destra ed esporre, previa rotazione anteriore del lobo epatico destro verso l’alto e medialmente, la vena cava retroepatica. – Eseguito il tempo arterioso preliminare, si clampano i vasi renali controlaterali (arteria e vena) e la vena cava a monte ed a valle del trombo. – Cavotomia. – Rimozione in blocco del trombo, di un segmento di vena cava a livello dello sbocco della vena renale, del rene, del surrene, del grasso perirenale e della fascia di Gerota. – Sutura della breccia cavale. TROMBOSI NEOPLASTICA ESTESA ALLA VENA CAVA RETRO-EPATICA Accesso toraco-frenolaparotomico (VIII oIX spazio intercostale) Per i tumori di destra e sterno-laparotomico per i tumori di sinistra. – Isolamento preliminare della vena cava a livello diaframmatico o intrapericardico attraverso una pericardiotomia e posizionamento di un tourniquet. Questo è il passaggio più delicato ma anche più importante, visto che si ottiene un sicuro controllo craniale del trombo. – Sezione dei legamenti epatici coronario e triangolare di destra e delicata rotazione anteriore del fegato. Si espone così la vena cava retroepatica e le vene epatiche confluenti in essa (area nuda). La sezione dei legamenti falciforme e rotondo è raramente necessaria. – Isolamento del peduncolo epatico ed interruzione della circolazione epatica a mezzo della manovra di Pringle al fine di ridurre l’afflusso ematico nel tratto di vena cava occupato dal trombo. L’arresto del circolo portale può prolungarsi per un tempo non superiore ai 30 minuti. – Isolamento dei vasi renali controlaterali e delle vene sovraepatiche principali. – Mobilizzazione della vena cava previa legatura delle vene lombari. – Previo clampaggio della vena porta, dell’arteria e vena renale controlaterale, della vena cava a monte (vena cava diaframmatica o intrapericardica) ed a valle del trombo (vena cava sottorenale) e delle vene sovraepatiche si procede alla cavotomia ed alla trombectomia. – Rimozione in blocco del trombo, del rene, del surrene, del grasso perirenale e della fascia di Gerota. – Immediatamente prima della completa sutura della breccia cavale, il tourniquet a livello della cava sottorenale viene allentato per riempire il tratto di vena cava escluso e ridurre la possibilità di embolia gassosa. – Quindi vengono allentati i rimanenti tourniquet e rimosse le ciani? nel seguente ordine: vena cava intrapericardica, vene sovraepatiche, vena renale controlaterale, arteria renale controlaterale, vena porta. TROMBOSI NEOPLASTICA SOPRADIAFRAMMATICA – Un perfetto controllo con rimozione completa del trombo può essere effettuato solo a mezzo di bypass cardiopolmonare (7). – Accesso toraco-freno-laparotomico (V spazio intercostale) per i tumori di destra e sterno-laparotomico per i tumori di sinistra. – Sezione del diaframma fino all’orificio cavale risparmiando il nervo frenico ed esposizione della vena cava retroepatica previa sezione dei legamenti triangolare e coronario di destra e derotazione epatica. – Previa completa mobilizzazione del rene, si attua il bypass cardiopolmonare introducendo un catetere in vena cava superiore attraverso una atriotomia destra, un catetere nell’aorta ascendente ed un terzo catetere (di deflusso) nella vena cava inferiore a valle del trombo. – Si instaura l’arresto cardiaco ed una ipotermia profonda. Ciò consente un intervento totalmente esangue. – Estesa cavotomia e trombectomia. – Chiusura della breccia cavale.

    Bibliografia

    1. Bracci U. Le vie d’accesso nella chirurgia dell’apparato urinario. 1. Le vie d’accesso al rene. Macrì, Firenze, 1956.2. Giuliani L, Carmignani G, Belgrano E, Martorana G. Le vie d’accesso in chirurgia urologica. Relazione ufficiale LVI Congresso SILI, Bari, 3-6 ottobre 1984.3. Giuliani L, Giberti C, Martorana G. Atlas of surgery for renal cancer. 2nd ed. Zambeletti S.p.A., Milano, 1989.4. Giuliani L, Giberti C, Martorana G, Rovida S. Radical extensive surgery for renal cell carcinoma: long-term results and prognostic factors. J Urol 1990; 143: 468.5. Goldfarb DA, Novick AC, Lorig R. Magnetic resonance imaging for assessment of vena caval tumor thrombi: a comparative study with vena cavography and CT scanning. J Urol 1990; 144: 1100.6. Skinner DG, Pritchett TR, Lieskovsky G. Vena caval involvement by renal cell carcinoma: surgical resection provides meaningful long-term survival. Ann Surg 1989; 210: 387.7. Novick AC, Kaye MC, Cosgrove DM. Experience with cardiopulmonary bypass and deep hypothermic circulatory arrest in the management of retroperitoneal tumors with large vena caval thrombi. Ann Surg 1990; 212: 472.

    Andrew C. Novick

    Introduzione

    La nefrectomia parziale e la enucleoresezione per neoplasie renali sono due modalità chirurgiche distinte con il comune denominatore della conservazione di parenchima renale funzionante (1, 2, 3). Mentre la enucleoresezione è tecnica più recente e controversa (vedi capitolo 2.5 – Enucleoresezione per neoplasie renali), la nefrectomia parziale è il trattamento chirurgico conservativo che potenzialmente consente di ottenere una maggior sicurezza di radicalità oncologica (4). Infatti, in presenza di tumori di grosse dimensioni con il rischio che la pseudocapsula tumorale non sia integra, è oncologicamente più radicale l’escissione di almeno 1 cm di parenchima sano adiacente al tumore, scopo facilmente ottenibile tramite nefrectomia parziale (5). Risultati oncologici a parte, i vantaggi della chirurgia conservativa renale di elezione (nefrectomia parziale o enucleoresezione) nei confronti della nefrectomia radicale sono evidenti ed includono: 1) II risparmio di parenchima renale. Il rischio di neoplasia renale controlaterale metacrona, dell’ ordine del 4 , l’occorrenza di patologie benigne, la potenziale insorgenza in altra sede di tumori chemosensitivi, la cui terapia necessita di una sufficiente riserva funzionale renale, supportano i potenziali benefici del risparmio di parenchima renale dopo chirurgia conservativa renale (6). 2) La possibilità di ottenere una diagnosi istopatologica precisa. Ciò è evidente sopratutto in presenza di lesioni renali benigne all’esame istologico post-operatorio, non riconoscibili come tali nelle indagini diagnostiche pre-operatorie, le quali, nonostante gli sviluppi tecnologici della tomografia computerizzata a della risonanza magnetica nucleare, non superano livelli di specificità superiori al 75-80 (7). Per questi pazienti la nefrectomia radicale rappresenterebbe un “overtreatment” inaccettabile. Inoltre, è stato dimostrato che l’accertamento diagnostico di masse solide renali tramite biopsia percutanea, oltre ad essere associato ad un elevato rischio di disseminazione di cellule neoplastiche lungo il tramite dell’ago, manca di accuratezza diagnostica (8, 9). La nefrectomia parziale può essere attuata in situ (resezione polare, resezione cuneiforme, sezione trasversale maggiore) o ex situ (chirurgia da banco). Pre- operatoriamente è necessaria una rappresentazione angiografica dell’arteria renale e dei suoi rami. La conoscenza della vascolarizzazione consente una resezione del tumore con minima perdita ematica e conservazione del restante parenchima renale. In relazione all’irrorazione arteriosa, il rene può essere suddiviso in 4 segmenti: apicale, anteriore, posteriore e basilare. Ciascuno di questi segmenti viene irrorato da uno o più rami dell’arteria renale. Nonostante questi rami siano variabili i limiti anatomici dei segmenti citati sono costanti. In considerazione che le arterie segmentarle sono tutte arterie terminali, mancando i segmenti di circoli collaterali, è necessario risparmiare tutti i vasi arteriosi responsabili dell’irrorazione del parenchima renale sano adiacente al tumore. In contrapposizione, il sistema venoso renale è sostenuto da un valido circolo collaterale. Pertanto, la legatura dei rami della vena renale non presenta conseguenze. In particolare, la preparazione in questo senso delle vene a livello dell’ilo renale consente spesso un’ottimale esposizione del tumore. I principi fondamentali della chirurgia conservativa renale (nefrectomia parziale o enucleoresezione) sono rappresentati da: 1) controllo preliminare del peduncolo vascolare renale; 2) protezione ischemica del rene; 3) resezione chirurgico-oncologica completa del tumore assicurata da biopsie estemporanee del letto tumorale; 4) chiusura impermeabile di eventuali lesioni caliceali; 5) emostasi accurata; 6) copertura del difetto parenchimatoso con grasso perirenale, patch peritoneale o lembo omentale peduncolizzato.

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    Indicazioni

    – Di necessità o imperativa: carcinoma a cellule renali bilaterale sincrono, tumori in pazienti con rene singolo (agenesia renale unilaterale, rene singolo a seguito di intervento chirurgico ablativo sul rene controlaterale o perdita funzionale irreversibile del rene controlaterale a seguito di malattie a carattere biologico benigno). – Profilattica in pazienti per i quali il futuro preserva una significativa riduzione funzionale del rene controlaterale: nefrolitiasi recidivante, pielonefrite cronica, stenosi dell’arteria renale, nefropatia da reflusso, malattie sistemiche come il diabete mellito e la nefrosclerosi. – Di elezione: neoplasie renali di dimensioni limitate e rene controlaterale funzionalmente integro.

    Tecnica operatoria

    – Accesso sopracostale sul letto della XI o XII costa. – Apertura della fascia di Gerota. Ai fini di una corretta stadiazione patologica, il tessuto adiposo direttamente soprastante il tumore viene lasciato in situ e rimosso in seguito insieme alla neoplasia. – Isolamento e caricamento su loop di arteria e vena renale. Con l’esclusione di piccole neoplasie a localizzazione periferica si procede sempre al clampaggio dell’arteria renale. Ciò consente una riduzione delle perdite ematiche ed una esposizione ottimale dell’anatomia intrarenale. – Il clampaggio della vena renale non viene eseguito perché prolungherebbe il tempo di ischemia intraoperatoria a causa di stasi venosa e perché impedirebbe un’accurata emostasi di lesioni accidentali di piccoli rami venosi altrimenti facilmente identificabili. RESEZIONE POLARE – Identificazione, sezione e legatura delle arterie segmentarle corrispondenti. In questa maniera si preserva la perfusione dei segmenti renali adiacenti. – La linea di demarcazione ischemica guida i limiti della resezione. Tale linea di demarcazione può essere resa ancor più evidente dall’iniezione di blu di metilene nel moncone distale dell’arteria segmentarla corrispondente che verrà poi legata. – L’incisione del parenchima renale segue la linea di demarcazione ischemica ed avviene a ca. 1-2 cm di distanza dalla neoplasia. – La resezione avviene con forbici. – Di solito non si riesce tecnicamente a preservare un lembo di capsula renale sufficiente per coprire il futuro difetto parenchimale. – In caso di lesione caliceale si procede all’immediata chiusura impermeabile con punti staccati in catgut cromico 4/0. – Emostasi del letto tumorale con punti trasfissi in catgut cromico 4/0. – Coagulazione del letto tumorale con laser ad argon. – Si riapprossima il parenchima renale senza tensione con punti staccati in catgut cromico 3/0 includendo nella sutura grasso perirenale o una garza emostatica. RESEZIONE CUNEIFORME – La resezione a cuneo è indicata in presenza di tumori localizzati perifericamente. Tale resezione va sempre eseguita in ischemia ed ipotermia locale. – A differenza della resezione polare l’arteria segmentarla corrispondente non viene legata ma solo temporaneamente occlusa. – Resezione del tumore con un margine di sicurezza di parenchima renale sano di 1-2 cm. – Chiusura di eventuali lesioni caliceali ed emostasi con punti trasfissi. – Si riapprossima il difetto parenchimale come descritto per la resezione polare. – Si declampa l’arteria renale o la corrispondente arteria segmentarla temporaneamente occlusa. NEFRECTOMIA PARZIALE IN CHIRURGIA DA BANCO ED AUTOTRAPIANTO RENALE – Questa tecnica è associata ad un notevole prolungamento dei tempi operatori e ad un maggior rischio di complicanze (insufficienza renale transitoria con necessità di emodialisi). Per tale motivo viene utilizzata solo in caso di neoplasie di grosse dimensioni, mesorenali ed ipervascolari, per le quali una resezione in situ risulterebbe difficoltosa se non impossibile. – L’accesso avviene tramite laparotomia mediana. – Apertura della fascia di Gerota e preparazione del rene. – Legatura di arteria e vena renale, clampaggio dell’uretere. Solo se la incompleta mobilizzazione renale rappresenta un ostacolo alla resezione tumorale si procede alla legatura dell’uretere. – Perfusione renale con soluzione elettrolitica e perfrigerazione renale. – Resezione tumorale in chirurgia da banco (stesso tavolo operatorio o tavolo operatorio separato) in ipotermia locale. Resezione mantenendo un margine di parenchima sano di 1-2 cm. Controllo dell’emostasi e dei leak tramite perfusione renale. – Contemporaneamente preparazione della fossa iliaca per l’autotrapianto renale da parte di un secondo team chirurgico. – Autotrapianto renale in analogia alla tecnica dell’allotrapianto (vedi capitolo 2.11 – Trapianto renale).

    Tricks of the trade

    – Pre-operatoriamente è necessaria un’adeguata idratazione del paziente per far fronte al tempo di ischemia in ipotermia locale del rene. – Intra-operatoriamente, il rene in ipotermia può sopportare un tempo di ischemia fino a 3 ore. Subito dopo il clampaggio dell’arteria renale si procede pertanto alla perfrigerazione del rene con ghiaccio. Dopo 10-15 minuti si è raggiunta una temperatura ideale di 15°-20°C per la protezione del rene dall’ischemia (10).

    Bibliografia

    1. Novick AC, Streem S, Montie JE, et al. Conservative surgery for renal cell carcinoma: a single-center experience with 100 patients. J Urol 1989; 141: 835.2. Morgan WR, Zincke H. Progression and survival after renal-conserving surgery for renal cell carcinoma: experience in 104 patients and extended followup. J Urol 1990; 144: 852.3. Steinbach F, Stoeckle M, Mueller SC, Thueroff, JW, Melchior SW, Stein R, Hohenfellner R. Conservative surgery of renal cell tumors in 140 patients: 21 years of experience. J Urol 1992; 148: 24.4. Novick AC. Partial nephrectomy for renal cell carcinoma. Urol din North Am 1987; 14: 419.5. Licht MR, Novick AC. Nephron-sparing surgery for renal cell carcinoma. J Urol 1993;149: 1.6. Steinbach F, Voges GE, Anderson E, Stoeckle M, Hohenfellner R. The potential benefit of partial nephrectomy for renal cell carcinoma in the presence of a normal opposite kidney. J Urol 1996; 155 S: 583A.7. Gschwend JE, Vogel U, Bader C, Mattfeldt T, Hautmann RE. Predictive value of magnetic resonance imaging and computerized tomography for conservative renal surgery in an ex vivo tumor enucleation study followed by step-sectioning. J Urol 1996; 155:45.8. Wehie MJ, Grabstaid H. Contraindications to needle aspiration of a solid renal mass: tumor dissemination by renal needle aspiration. J Urol 1986; 136: 446.9. Campbell SC, Novick AC, Herts B, et al. Prospective evaluation of fine needle aspiration of small, solid renal masses: accuracy and morbidity. Urology 1997; 50: 25.10. Novick AC. Renal hypothermia: in vivo and ex vivo. Urol Clin North Am 1983; 10: 637.

    Frank Steinbach – Gianluca D’Elia – Michael Stoeckle – Raimund Stein – Rudolf Hohenfellner

    Introduzione

    La tecnica di enucleoresezione per neoplasie renali fa parte, insieme alla nefrectomia parziale, delle procedure chirurgiche utilizzate per la chirurgia conservativa renale (vedi capitolo 2.4 – Nefrectomia parziale). La critica maggiore di carattere tecnico alla enncleoresezione è rappresentata dal rischio di mancata radicalità oncologica a causa della difficoltà di rimuovere il tumore con un margine di sicurezza di parenchima sano circostante (1, 2). A tale proposito, con il termine “enucleazione” si intende l’apertura di una capsula o pseudocapsula con rimozione del suo contenuto e preservazione della stessa capsula. Tuttavia, nel caso di una enucleoresezione renale si rimuove il tumore insieme alla sua pseudocapsula ed ineludendo anche un margine di parenchima sano circostante. Infatti, bisogna considerare che i tumori renali comprimono il parenchima circostante con formazione di numerosi strati a buccia di cipolla. Al di fuori della pseudocapsula tumorale si viene quindi a creare un piano di clivaggio concentrico facilmente individuabile con possibilità di resezione del tumore nella sua totalità per via smussa. In questo caso, il termine “enucleoresezione” implica la rimozione per via smussa del tumore e della sua pseudocapsula in contrasto alle tecniche di nefrectomia parziale, in cui la neoplasia viene resecata con bisturi o forbici (3). Per tali motivi, la denominazione “enucleazione” o “enucleoresezione” per neoplasie renali non è del tutto appropriata. Essendo comunque questo termine di uso comune preferiamo mantenerlo come tale durante la seguente trattazione. La tecnica chirurgica qui di seguito presentata rappresenta quindi un compromesso tra una nefrectomia parziale ed una classica enucleazione (senza rimozione della capsula e di margine di tessuto sano circostante) (4, 5). Punti di fondamentale importanza sono la necessità di resecare la lesione con un margine di sicurezza di ca. 0,5 cm dalla neoplasia, l’esecuzione di esami istologici estemporanei su tessuto prelevato dal letto di resezione per verificare il controllo locale di malattia, e la sutura ermetica di tutte le eventuali lesioni a danno del sistema caliceale (6, 7).

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    Indicazioni

    – Di necessità o imperativa: carcinoma a cellule renali bilaterale sincrono, tumori in pazienti con rene singolo (agenesia renale unilaterale, rene singolo a seguito di intervento chirurgico ablativo sul rene controlaterale o perdita funzionale irreversibile del rene controlaterale con insufficienza renale cronica a seguito di malattie a carattere biologico benigno). – Profilattica in pazienti per i quali il futuro preserva una significativa riduzione funzionale del rene controlaterale: nefrolitiasi recidivante, pielonefrite cronica, stenosi dell’arteria renale, nefropatia da reflusso, malattie sistemiche come il diabete mellito e la nefrosclerosi. – Di elezione: neoplasie renali di dimensioni limitate e rene controlaterale funzionalmente integro.

    Controindicazioni

    – Assolute: neoplasie infiltranti il sistema pielocaliceale. – Relative: 1) dimensioni del tumore superiori a 4 cm; 2) localizzazione mesorenale senza infiltrazione del sistema pielo-caliceale.

    Strumentario

    – Ghiaccio per la perfrigerazione renale. – Colla di fibrina o garze emostatiche (ad es. Tabotamp). – Spatola per endoarteriectomia. – Bulldog. – Coagulatore a raggi infrarossi o laser ad argon. – Ecografo intra-operatorio.

    Tecnica operatoria

    – L’ accesso avviene per incisione sopracostale extra-peritoneale lungo il margine superiore della XI o XII costa. – Dopo apertura della fascia di Gerota, si procede a rimuovere il tessuto adiposo perirenale e ad ispezionare accuratamente la superficie renale alla ricerca di eventuali lesioni satelliti. – Ai fini di una corretta stadiazione patologica, il tessuto adiposo direttamente soprastante il tumore viene lasciato in situ e rimosso in seguito insieme alla neoplasia. – Isolamento e caricamento su loop di arteria e vena renale. – In presenza di un tumore mesorenale o di dimensioni molto voluminose (5-6 cm) si procede a clampare con bulldog l’arteria renale. – In caso di clampaggio dell’arteria renale è indispensabile ricorrere alla preliminare infusione endovenosa di mannitolo e/o inosina. – La perfrigerazione del rene con ghiaccio è necessaria se si prevede un tempo di ischemia maggiore di 20 minuti. – La capsula renale viene incisa circolarmente con bisturi a distanza di 4-7 mm dalla lesione tumorale. – Il piano di clivaggio tra pseudocapsula tumorale e parenchima sano circostante è facilmente identificabile. Il tumore viene enucleato per via smussa all’esterno della sua pseudocapsula mediante l’utilizzo di spatole per endoarterieetomia. – Lesioni del sistema caliceale vengono suturate con acido poliglicolico (Maxon) al fine di evitare l’occorrenza di fistole urinarie. – Un esame istologico estemporaneo su tessuto prelevato dal letto di resezione è di fondamentale importanza per evitare una resezione oncologica incompleta del tumore. – Successivamente si procede ad un’emostasi accurata del letto di resezione con punti transfissi (Maxon 5/0) o, se necessario, con coagulatore a raggi infrarossi o laser ad argon. La cavità può eventualmente anche essere rivestita da colla di fibrina. – Infine, si procede a chiudere il difetto parenchimale affrontando senza tensione i lembi del letto di enucleazione con punti staccati in acido poliglicolico (Maxon). – In caso di difetti più ampi e quando i lembi non siano riapprossimabili è vantaggioso ricorrere ad un patch libero peritoneale come sostituto di capsula renale per ricoprire la cavità. Il patch peritoneale va preferibilmente prelevato prima della enucleoresezione. – Si copre il rene con il restante grasso perirenale. – Emostasi. Drenaggio in para. – Chiusura della ferita.

    Tricks of the trade

    – La rimozione del tessuto adiposo perirenale consente un’accurata ispezione del parenchima renale e lo rende accessibile ad un’eventuale ecografìa intra-operatoria alla ricerca di lesioni satelliti (8, 9). – Nonostante alcuni piccoli tumori periferici siano enucleabili senza necessità di clampare l’arteria renale la prioritaria preparazione ed isolamento del peduncolo vascolare è opportuna per far fronte ad un’eventuale emergenza vascolare in corso di enucleoresezione. – In caso di clampaggio dell’arteria renale il rene, in ipotermia locale, può far fronte ad un tempo di ischemia fino a 3 ore. – In presenza di margine di resezione positivo del letto tumorale all’esame estemporaneo si procede ad una resezione più profonda del letto tumorale. Nel caso di una nuova resezione incompleta si procede alla nefrectomia radicale (in presenza di rene controlaterale sano) o ad un’ulteriore resezione (in paziente con rene singolo).

    Decorso post-operatorio

    – Rimozione del drenaggio in 3.-4. giornata postoperatoria. – Facoltativamente si esegue una urografia endovenosa in 6.-7. giornata postoperatoria per escludere eventuali stravasi urinari. – A distanza di un mese dall’intervento si esegue una tomografia computerizzata come indagine di partenza alla quale confrontare gli esami di controllo del follow-up successivo.

    Situazioni particolari

    In presenza di tumori renali bilaterali sincroni è conveniente intervenire primariamente con la chirurgia conservativa sul rene che presenta probabilità di successo maggiori (ad es. neoplasia di piccole dimensioni o a localizzazione periferica più facilmente aggredibile). A distanza di 6-8 settimane si può poi procedere ad intervenire sulla neoplasia che presenta difficoltà tecniche di enucleazione maggiori (ed eseguire eventualmente una nefrectomia radicale) con la sicurezza di aver conservato parenchima renale funzionante controlaterale.

    Bibliografia

    1. Robson CJ. Radical nephrectomy for renal cell carcinoma. J Urol 1963; 89: 37.2. Giberti C, Oneto F, Martorana G, Rovida S, Carmignani G. Radical nephrectomy for renal cell carcinoma: long-term results and prognostic factors on a series of 328 cases. Enr Urol 1997; 31: 40.3. Stephens R, Graham SD. Enucleation of tumor versus partial nephrectomy as conservative treatment of renal cell carcinoma. Cancer 1990; 65: 2663.4. Bazeed MA, Schaerfe T, Becht E, Jurincic C, Alken P, Thueroff JW. Conservative surgery of renal cell carcinoma. Eur Urol 1986; 12: 238.5. Steinbach F, Stoeckle M, Thueroff JW, et al. Parenchyma-sparing surgery for renal tumors. World J Urol 1991; 9: 178.6. Blackley SK, Lagada L, Woolfitt RA, Schellhammer PF. Ex situ study of the effectiveness of enucleation in patients with renal cell carcinoma. J Urol 1988; 140: 6.7. Marshall FF, Taxy JB, Fishman EK, Chang R. The feasibility of surgical enucleation for renal cell carcinoma. J Urol 1986; 135: 231.8. Campbell SC, Fichtner J, Novick AC, et al. Intraoperative evaluation of renal cell carcinoma: a prospective study of the role of ultrasonography and histopathological frozen sections. J Urol 1996; 155: 1191.9. Marshall FF, Holdford SS, Hamper UM. Intraoperative sonography of renal tumors. J Urol 1992; 148: 1393.

    Guglielmo Breda – Pasquale Silvestre

    Introduzione

    La chirurgia laparoscopica, dopo una lunga fase durante la quale fu utilizzata esclusivamente a livello diagnostico, intorno agli anni ’90, sulla scia dell’esperienza dei chirurghi generali, è entrata a pieno titolo nell’armamentario terapeutico degli urologi (1, 2). L’incessante progresso tecnologico ha permesso, in pochi anni, l’affermarsi di questo nuovo tipo di chirurgia anche se, con tutta probabilità, siamo solo ai primi passi di una autentica rivoluzione. La chirurgia laparoscopica, se confrontata con la chirurgia tradizionale, presenta per il paziente indubbi vantaggi, come la riduzione della degenza ospedaliera, una convalescenza ed una morbilità minime ed infine l’assenza di una cicatrice. Schuessler fu il primo urologo ad eseguire una linfoadenectomia pelvica laparoscopica, preliminare ad una prostatectomia radicale, in un caso di neoplasia localizzata (3). La strada ormai era stata aperta. Nel tempo, altri centri urologici, sensibili alla nuova metodica, fecero esperienze con la laparoscopia operativa e finalmente Ralph Clayman, dopo una serie di studi sperimentali sull’animale, il 25 Giugno 1990 presso l’Università di Washington a Saint Louis, eseguì la prima nefrectomia laparoscopica. Si trattava di una donna di 85 anni con un oncocitoma del diametro di 3 cm, localizzato al 1/3 medio del rene di destra. Il tempo operatorio fu di 6 ore e 45 minuti, ed il rene, completamente isolato, fu introdotto in un sacchetto impermeabile ove fu frantumato utilizzando un morcellatore elettrico sperimentale. L’organo fu quindi estratto attraverso uno degli accessi laparoscopici. Le perdite ematiche intraoperatorie furono valutate intorno ai 300 cc e la donna, dimessa dopo una settimana, riprese le sue normali attività dopo qualche giorno (4). Era veramente iniziata anche per l’Urologia l’era della laparoscopia operativa. L’Europa si adeguò ed il primo ad eseguire una nefrectomia laparoscopica fu Malcom J. Coptcoat a Londra nell’Ottobre del 1991 (5); un mese dopo anche in Italia fu eseguita la prima nefrectomia laparoscopica ad opera di Guglielmo Breda presso l’Ospedale di Bassano del Grappa (6). L’approccio alla nefrectomia laparoscopica può essere diretto, per via retroperitoneale (RP), certamente la via più “familiare” al chirurgo urologo, o indiretto per via trans- peritoneale (TP). I tentativi sperimentali sull’uso della via diretta (RP) al rene furono numerosi. Gli Autori, che sfruttavano l’esperienza acquisita con la tecnica utilizzata per il trattamento percutaneo della calcolosi renale, non riportarono però grossi successi a causa del tessuto adiposo retroperitoneale che ostacolava la creazione di un soddisfacente retropneumoperitoneo. Queste iniziali difficoltà all’accesso diretto al rene portarono Clayman ad usare la via indiretta (TP) per la sua prima nefrectomia laparoscopica. La via trans-peritoneale era però diversa da quella che normalmente l’Urologo usa in chirurgia “aperta” per il trattamento della patologia renale benigna e questo fu fonte di critiche alla nuova metodica. Intanto nel mondo le esperienze specifiche continuavano. Nel 1992 Gaur mise a punto una tecnica di “scollamento pneumatico” con pallone del retroperitoneo; pubblicò i successi così ottenuti in vari interventi (nefrectomie semplici, biopsie renali, ureterolitotomie, varicocelectomie) (7). Gli urologi fautori della laparoscopia subito si adeguarono e qualche tempo dopo Rassweiler modificò la tecnica iniziale di Gaur di scollamento del retroperitoneo da “pneumatico” in “idraulico controllato” (8). In definitiva si era dimostrato che entrambe le vie di accesso al rene erano possibili ed ormai collaudate. Di volta in volta si poteva scegliere quale approccio fosse il più conveniente sempre salvaguardando l’interesse del paziente ed avendo in debita considerazione, oltre che l’esperienza specifica dell’operatore, anche i vantaggi e gli svantaggi che, rispettivamente, i due accessi presentano. In linea generale l’approccio retroperitoneale può essere consigliato nei casi di piccoli reni di peso inferiore ai 100 g e con scarsa fibrosi o infiammazione peri-renale. Questa via inoltre presenta tutti i vantaggi dell’accesso extra-peritoneale compresa la riduzione dei tempi operatori, della degenza e quindi della convalescenza. Di contro questa via non è consigliabile di fronte ad organi voluminosi o in presenza di importanti fatti fibrotici peri-renali a causa del ridotto spazio in cui si è costretti a lavorare (9).

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    Indicazioni

    – Patologia renale benigna (nefrectomia semplice).

    Controindicazioni

    – Patologia renale maligna (nefrectomia radicale). Recentemente comunque, alcuni autori eseguono nefrectomie radicali laparo/lomboscopiche per patologie renali maligne arrivando ad asportare per via trans-peritoneale tumori di grosse dimensioni, intatti ed unitamente al surrene ed al grasso perirenale, ampliando un accesso laparoscopico da 12 mm a 5-7 cm e permettendo in questo modo di eseguire una corretta stadiazione patologica (10).

    Tecnica operatoria

    PREPARAZIONE E POSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE – Prelievo pre-operatorio, in più sedute, di circa 500 cc di sangue autologo. – Sia che la metodica si svolga con accesso diretto al rene sia che avvenga per via trans- peritoneale si esegue una preparazione intestinale somministrando il giorno prima dell’intervento 3-4 litri di soluzione elettrolitica per lavaggio gastro-intestinale (S.E.L.G.) seguiti, la sera che precede l’intervento, da clistere evacuativo solo se le scariche presenteranno ancora feci formate. – Profilassi antitromboembolica ed antibiotica ad ampio spettro a partire dalla sera precedente l’intervento. – Con il paziente già anestetizzato è utile posizionare per via trans-uretrale e sotto controllo radiologico un cateterino ureterale (5-6 Charr) nell’asse escretore interessato. Questo renderà più agevole intraoperatoriamente il reperimento dell’uretere e potrà contribuire alla contrazione dei tempi operatori. Il catetere ureterale verrà fissato ad un catetere vescicale tipo Foley che sarà rimosso a 24 ore dall’intervento. – Posizione obliqua moderata del paziente (circa 60°). – L’arto superiore controlaterale sarà disteso lungo il corpo per evitare ogni eventuale intralcio ai movimenti dell’operatore e di tutta l’equipe. L’arto superiore omolaterale, fissato ad un supporto, si presenterà con il braccio a 90° rispetto all’asse del corpo e con l’avambraccio flesso sul braccio (quasi come per un abbraccio). Si avrà cura di evitare stiramenti sul plesso brachiale di questo lato causa di fastidiosa sintomatologia algica nel post-operatorio. – Uno o due cuscini saranno posizionati tra gli arti inferiori e l’arto inferiore controlaterale si fletterà sul ginocchio di circa 30°. – Il tavolo operatorio sarà “spezzato” come per una classica lombotomia. INSERIMENTO AGO DI VERESS E CREAZIONE DEL PNEUMOPERITONEO – Applicazione di due Backhaus sui bordi laterali della cicatrice ombelicale o in sede peri-ombelicale. La trazione sulle Backhaus ha lo scopo di allontanare la parete addominale dalle sottostanti anse intestinali riducendo i rischi di indesiderate perforazioni. – Con la punta di un bisturi si pratica una piccola incisione lunga circa 1 cm sul labbro inferiore della cicatrice ombelicale o subito lateralmente ad essa (margine interno dei muscoli retti). – Attraverso questa si introduce l’ago e, progredendo verso la cavità peritoneale (ago inclinato di circa 20-30° sull’asse maggiore del corpo), il chirurgo avvertirà resistenze diverse mentre attraversa il grasso pre-peritoneale (meno resistente), la fascia trasversalis e la membrana peritoneale (più resistenti). Classico è il “click” dell’ago ormai giunto in addome. – A questo punto si deve avere conferma di essere nella giusta “cavità”: la mancata aspirazione attraverso una siringa sterile (sistemata sull’ago) di materiale organico, la rapida scomparsa in cavità di alcuni cc di soluzione fisiologica introdotti per la stessa via ed anche la bassa pressione endocavitaria che si potrà andare a registrare, ci rassicureranno. – L’ago di Veress è ora raccordato all’insufflatore di CO2, (già in precedenza “tarato” sui 13-15 mmHg come pressione massima da raggiungere in cavità) e, verifìcate le iniziali basse pressioni endocavitarie (circa 3-4 mmHg), si procede alla insufflazione della CO2. Inizialmente il flusso sarà di poco superiore al litro/min e successivamente, raggiunta la giusta pressione di 12-13 mmHg, lo si regolerà su valori di 2-4 litri/min suscettibile di modifiche nel corso della procedura. POSIZIONE DEI TROCARS – Creato il pneumoperitoneo si rimuove l’ago di Veress e, nella stessa sede, si inserisce il 1° trocar (accesso 1), solitamente del diametro di 10 mm (in sede ombelicale o lungo l’ombelicale trasversa al margine esterno dei muscoli retti addominali omolaterali). Attraverso questo primo trocar, a cui sarà inizialmente raccordato l’insufflatore di CO,, viene introdotto il laparoscopio (ottica da 0°). – Si esplora la cavità addominale, si valuta accuratamente ove sia più conveniente collocare gli altri accessi e quindi, creato il buio in sala operatoria, per “trasparenza” si procede a sistemare, sotto visione diretta, altri due trocars entrambi da 12 mm lungo la mammillare omolaterale e rispettivamente in sede sottocostale (accesso 2) ed in sede soprailiaca sottombelicale (accesso 3). Questi rappresentano i veri trocars operativi. – Utile a questo punto controllare, modificando la posizione del laparoscopio dall’accesso 1 al 2 e previo riduttore da 10, il corretto posizionamento dell’accesso 1. – Posizionamento degli accessi 4 e 5. Entrambi questi accessi (da 5 o 10 mm) vengono sistemati lungo l’ascellare anteriore omolaterale rispettivamente in sede sottocostale (accesso 4) e soprailiaco (accesso 5). Questi ultimi due accessi saranno utilizzati principalmente dall’aiuto per facilitare la dissezione dei tessuti da parte dell’operatore. – Tutte le porte, ben sistemate, sono di volta in volta “ancorate” con una sutura cutanea. NEFRECTOMIA – Mobilizzazione del colon (ascendente o, rispettivamente, discendente). – Individuata la linea di Toldt, mentre l’aiuto con pinze in posizione 4 la fraziona lateralmente, l’operatore la stira medialmente con pinze in posizione 3. – Il peritoneo posteriore, sollevato, viene quindi inciso (operatore con forbici attraverso accesso 2) e l’incisione è spinta caudalmente sino ai vasi iliaci comuni, cranialmente sino alla flessura epatica o splenica rispettivamente. – L’incisione craniale del retroperitoneo viene ulteriormente prolungata medialmente a destra sino a kocherizzare il duodeno ed esporre la superficie anteriore della vena cava. – A sinistra, liberata la flessura colica e lasciando cranialmente la milza, si completa lo scollamento del colon fino a liberare l’ilo (attenzione alla coda del pancreas). – Medializzato il colon, aiutati in questo anche dalla posizione obliqua del paziente che facilita la caduta per gravita dell’intestino, si prosegue nell’esposizione del retroperitoneo ed al reperimento dell’uretere. Durante questo tempo, utili possono risultare i movimenti esercitati dall’esterno sul cateterino ureterale, precedentemente introdotto, alla ricerca dell’uretere “intubato”. – Individuato l’uretere, mentre l’aiuto lo sottende con pinze o endo-babcock in posizione 5, l’operatore provvede al suo ulteriore isolamento dal tessuto retroperitoneale con pinze (accesso 3) e forbici (accesso 2). – Durante questo tempo, procedendo cranialmente nell’isolamento ureterale, si prende “contatto” con la vena gonadica, che a destra incrocia l’uretere e quindi si getta nella cava. La vena gonadica viene clippata e sezionata (endo-clips e quindi forbici dalla porta 2). A sinistra la vena gonadica decorre medialmente all’uretere e, per il fatto che sfocia direttamente nella vena renale di quel lato, può rappresentare una ulteriore “guida” unitamente all’uretere, verso l’ilo renale. – Procedendo nell’isolamento craniale dell’uretere si giunge in prossimità della giunzione pielo-ureterale e si individua il polo inferiore del rene che viene liberato dal tessuto ad esso circostante. – Individuata la vena renale che sarà adeguatamente isolata e dislocata cranialmente (dall’aiuto in posizione 4), si reperta l’arteria renale, il tutto sempre con pinze e forbici m posizione 2 e 3. A sinistra si dovrà prestare maggiore attenzione alla vena renale per le sue “pericolose” afferenze (gonadica, surrenale, eventuali lombari), che saranno clippate e sezionate di volta in volta anche per maggior comodità di movimenti. – Sezione tra endo-clips dell’arteria renale. – Se il calibro della vena renale è tale da non poter essere completamente compresa dalle clips, qnesta verrà trattata con endo-GIA. Ottimale dovrà quindi essere il suo isolamento per permettere prima al “misuratore” e poi all’endo-GIA vera e propria di comprendere fra le sue branche, completamente, la parete vascolare e permettere una costante visione della “punta” dell’endo-GIA. – Dopo la sezione dei vasi renali si procede con una certa rapidità e sicurezza nella dissezione delle restanti porzioni del rene dal circostante tessuto adiposo retroperitoneale avendo cura, cranialmente, di non comprendere il surrene. Si sfila dall’esterno il cateterino ureterale. – L’uretere viene sezionato o fra endo-clips o direttamente con endo-GIA a circa 6-7 cm dalla giunzione pielo-ureterale. – II rene, ormai completamente libero in cavità, viene posto rispettivamente o sulla cupola epatica o sulla milza. – Attraverso l’accesso 2 l’operatore introduce in cavità, chiuso ed opportunamente avvolto su grasping, il sacchetto impermeabile Lapsac, che sarà aperto con idonee manovre attraverso pinze manovrate dall’aiuto in posizione 5 e dall’operatore in posizione 3 che agiranno sulle tre “tabs” poste sul colletto del sacchetto. – Aperto il sacchetto si fa “cadere” in esso l’organo. – L’operatore, dall’accesso 1, chiude il colletto del sacco, agendo con le pinze sui fili, e lo estrae contemporaneamente al trocar (ombelicale o altro). – Prima della rimozione, sotto visione, dei trocars e della risoluzione del pneumoperitoneo, è buona norma controllare l’emostasi della loggia renale con particolare attenzione ai “monconcini” vascolari dell’ilo per escludere eventuali sanguinamenti attivi – Un drenaggio tipo Redon può essere introdotto per via trans-peritoneale in loggia dall’accesso 3 o 5, sistemandolo in sede con pinze dall’accesso 2 o 4. – Alcuni punti in Dexon o Vicryl a chiusura delle piccole brecce fasciali nelle sedi degli accessi da 12 e da 10 mm. – Punti di accostamento del sottocute in materiale riassorbibile 3/0. – Cute o con sutura in Nylon 2-3/0 o con accostamento dei margini con “strips”.

    Tricks of the trade

    – Prima di trattare la vena renale, ad arteria già sezionata, è buona norma valutare la sua “tensione”; una vena ancora tesa deve insospettirci e spingerci a meglio indagare l’ilo renale alla ricerca di un eventuale ulteriore vaso arterioso. – Se le dimensioni del rene sono tali da impedire una sua regolare estrazione, l’accesso potrà essere ampliato di 2-3 cm e l’estrazione “favorita” utilizzando delle pinze di Museaux. – Nella donna è possibile estrarre l’organo, intatto, attraverso la vagina dopo una piccola colpotomia posteriore. – Se ai fini terapeutici risulta utile anche l’asportazione dell’uretere nella sua totalità, già inizialmente si provvederà a posizionare un Dormia (3 branche) al posto del semplice cateterino ureterale. Il Dormia ci consentirà di intrappolare nelle sue “maglie” due lembi di uretere appositamente preparati, e di rovesciarlo a “dito di guanto” (con delicata trazione dall’esterno) in vescica eseguendo uno “stripping” dell’uretere (vedi capitolo 3.4 – Ureterectomia trans-uretrale). In questi casi il catetere vescicale sarà mantenuto in sede per alcuni giorni.

    Decorso post-operatorio

    – La sera del primo giorno del post-operatorio il paziente può iniziare una leggera alimentazione con dieta semiliquida. – Rimozione del sondino naso-gastrico e del catetere vescicale in 1. giornata post- operatoria. – Mobilizzazione del paziente in 1. giornata post-operatoria. – L’antibioticoterapia da parenterale diventa orale già in 2. giornata e proseguirà ancora per 2-3 giorni. – Dimissioni in 4.-5. giornata post-operatoria. – La rimozione dei punti di sutura avverrà ambulatorialmente dopo 7 giorni.

    Situazioni particolari: nefrectomia lomboscopica (retroperitoneale)

    – Nello strumentario utile la disponibilità di un laparascopio da 30°. – Sistema di “hidraulic endoscopically controlled dissection” del retroperitoneo. Noi utilizziamo un “ballon trocar system” costruito “artigianalmente” (8). Consiste in un “‘pallone” ottenuto sfruttando il dito medio di un guanto chirurgico in lattice, fissato a “tenuta” alla camicia di un trocar da 12 mm. – Il monitoraggio della pressione ed il riempimento del pallone durante la “dissezione idraulica” del retroperitoneo si eseguono attraverso un sistema costituito da un rubinetto a tre vie raccordato con: 1) canale di insufflazione della camicia del trocar; 2) siringa da 50 cc per il riempimento; 3) manometro o tubo da infusione parenterale lungo 110 cm marcato ogni 10 cm e tenuto perpendicolarmente rispetto all’asse maggiore del corpo del paziente. – Per misurare la pressione esistente all’interno del pallone (e quindi nel retroperitoneo), agendo sul rubinetto si mette in diretta comunicazione il pallone con il “manometro”. Il livello che raggiungerà la colonna di H.,0 ci darà la corrispondente pressione nel retroperitoneo che non dovrà superare i 100-110 cm. – Normalmente si utilizzano circa 600-700 cc di soluzione fisiologica per ottenere un buon scollamento del retroperitoneo. Superare questi quantitativi di liquido vuole dire rischiare la rottura del pallone. – Già durante l’introduzione dei primi 50-100 cc di liquido, si può introdurre nella camicia del trocar (sistema) il laparascopio ed osservare direttamente in trasparenza la distensione dello spazio nel retroperitoneo. – Raggiunta la pressione ottimale, il pallone viene mantenuto in “distensione” per circa 5 minuti a scopo emostatico. Sgonfiatoio si estrae tutto il sistema e lo si sostituisce con un normale trocar da 12 mm iniziando l’insufflazione con la CO,. Utile una sutura a “borsa di tabacco” per la tenuta dell’accesso. – Posizione del paziente come per una classica lombotomia. – Si esegue con la punta di un bisturi a livello del triangolo del Petit (area fasciale delimitata dall’apice della XII costa, dalla fascia del muscolo obliquo esterno e dalla fascia del muscolo latissimo del dorso) una incisione di circa 1,5-2 cm. – Con la punta delle forbici di Mayo ed aiutandosi con il dito indice, si perfora la regione fasciale, si giunge nel retroperitoneo e, per quanto possibile, si procede allo “scollamento” digitale della regione stessa. – A questo punto si introduce nella cavità così creata il sistema di “distensione idraulica con pallone” descritto in precedenza. Questo accesso sarà successivamente occupato principalmente dalla telecamera. – Per la nefrectomia retroperitoneale solitamente si utilizzano solo 4 accessi: il primo è stato già descritto; il 2 e 3 del diametro di 12 mm saranno sistemati lungo l’ascellare posteriore in sede rispettivamente sottocostale e soprailiaco; l’accesso 4 è solitamente collocato sull’ascellare anteriore, lateralmente alla plica di riflessione del peritoneo, del diametro di 5 mm. – L’operatore, incisa la fascia renale, si farà spazio nell’atmosfera adiposa perirenale andando ad individuare l’uretere (se a sinistra anche la vena gonadica) che può essere sezionato subito, fra endo-clips, o tenuto in leggera trazione durante il proseguo della dissezione craniale. – Tutti gli altri tempi della metodica retroperitoneale sono analoghi a quelli della procedura eseguita per via trans-peritoneale. – Il sacchetto viene introdotto dall’accesso 1, liberato in cavità e tenuto aperto con pinze in posizione 2 e 3 mentre l’organo è in esso introdotto dopo essere stato “agganciato” con strumento idoneo dall’accesso 4. – L’estrazione avviene dalla porta 1 con le stesse modalità descritte per la via trans- peritoneale.

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    Jan Fichtner – Gianluca D’Elia – Sebastian W. Melchior – Rudolf Hohenfellner

    Introduzione

    Il rene a ferro di cavallo è un’anomalia di fusione dell’alta via escretrice, che, in caso di patologia sovrapposta, presenta problemi terapeutici di non facile soluzione. La dilatazione dell’alto apparato urinario è il reperto più frequente a causa dell’impianto ureterale alto, di vasi polari o istmici aberranti, della eventuale concomitante presenza di una stenosi giuntale intrinseca e del decorso atipico dell’uretere lungo l’istmo con conseguente compressione ureterale estrinseca. Tuttavia, la pianificazione di una eventuale strategia chirurgica disostruttiva risulta difficile dato che sia pre- che intra-operatoriamente non è sempre possibile distinguere quale tra questi quattro momenti fisiopatologici rappresenti la componente ostruttiva principale. La sola dilatazione del sistema pielocaliceale, in assenza di sintomatologia ed ostruzione meccanica scintigraficamente confermata, non costituisce indicazione per intervenire chirurgicamente (1). D’altro canto, in presenza di idronefrosi sintomatica, la strategia chirurgica prevede la sola disgiunzione dell’istmo, la sola pieloplastica o la disgiunzione dell’istmo associata a pieloplastica (2, 3). Tuttavia, la sola disgiunzione dell’istmo (in presenza di una concomitante stenosi del giunto intrinseca misconosciuta) o la sola pieloplastica (in presenza di un istmo ostruttivo difficilmente riconoscibile anche intraoperatoriamente) possono spesso non risultare sufficienti per risolvere il quadro ostruttivo. Talora, la persistenza del quadro ostruttivo e della sintomatologia possono fare seguito anche alla pieloplastica associata alla disgiunzione istmica (4). Inoltre, interventi recidivi per fallimento della chirurgia disostruttiva del rene a ferro di cavallo possono risultare tecnicamente estremamente difficili. Per tale motivi riteniamo necessario eseguire il massimo sforzo chirurgico in un’unica seduta operatoria. In altri termini, al fine di liberare definitivamente il giunto pielo- ureterale ed il decorso ureterale ed ottenere una persistente risoluzione dell’ostruzione consigliamo di associare alle due procedure menzionate (disgiunzione e pieloplastica) la nefropessia laterale per la correzione della deviazione degli assi ed eventualmente la resezione del restante parenchima renale comprimente. Tale amputazione istmo-polare non riduce significativamente la quantità di parenchima funzionale, come dimostrato dai risultati scintigrafici (5).

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    Indicazioni

    – Idronefrosi sintomatica (coliche renali, dolori lombari cronici, infezioni ricorrenti delle vie urinarie, ematuria). – Ostruzione scintigraficamente confermata con rischio di perdita di funzione renale. – Calcolosi sovrapposta con calcoli di dimensioni maggiori a 2 cm di diametro. – Neoplasie renali sovrapposte. In questi casi la terapia chirurgica d’elezione è l’eminefrectomia.

    Controindicazioni

    – Idronefrosi asintomatica con funzione renale nella norma. – Calcolosi di dimensioni inferiori a 2 cm di diametro in assenza di ostruzione scintigrafìca. In questi casi è vantaggioso ricorrere primariamente alla litotrissia extra-corporea o alla litolapaxi percutanea.

    Tecnica operatoria

    – Accesso sopracostale lungo il margine superiore della XII costa. E possibile prolungare l’incisione in direzione dell’ombelico. – Apertura della fascia di Gerota. – Isolamento del polo inferiore del rene e dell’istmo. – Identificazione del giunto pielo-ureterale, che si viene a trovare in posizione ventrale lungo il margine superiore dell’istmo. – Isolamento e caricamento su loop dell’uretere a livello del margine inferiore dell’istmo. – Isolamento della faccia dorsale dell’istmo. Durante questa manovra è necessario identificare e clampare vasi istmici atipici provenienti dall’aorta o dalla cava. In questo modo si ischemizza e demarca l’istmo parenchimatoso da sezionare. – Posizionamento di 4 punti trasfissi (PDS 3/0) ai margini dell’area istmica da sezionare. Tali punti impediscono la retrazione del moncone parenchimale dopo la disgiunzione. – Disgiunzione dell’istmo con bisturi elettrico sulla guida del dito indice della mano sinistra posizionato lungo la faccia dorsale dell’istmo. – Coagulazione con argon e sutura in continua dei monconi parenchimatosi con PDS 3/0. – Prima della rimozione dei punti transfissi precedentemente posizionati (prevenzione dell’invaginamento del parenchima renale) si procede alla sutura in continua della capsula renale con PDS 3/0. – Si coprono i monconi parenchimatosi con il grasso perirenale o in alternativa con un lembo omentale peduncolato. – Si clampano con una bulldog i vasi atipici del moncone istmico e del polo renale inferiore per ischemizzare e così demarcare il restante parenchima renale comprimente da resecare. – Resezione polare inferiore del restante parenchima renale comprimente. – Sutura in continua del moncone parenchimatoso con PDS 3/0. – Pieloplastica secondo Anderson-Hynes: sezione dell’uretere sottogiuntale, incisione longitudinale dell’uretere a becco di flauto, resezione della parete pielica adinamica, anastomosi uretero-pielica con catgut cromico 6/0, posizionamento di uno splint ureterale Charr 6 e di una pielostomia Charr 8 (Vedi capitolo 2.1 – Accesso sopracostale e pieloplastica secondo Anderson-Hynes). – Nefropessia laterale al muscolo psoas per la correzione della deviazione degli assi. – Copertura del rene con grasso perirenale o con omento. – Drenaggio retroperitoneale. – Chiusura della ferita.

    Tricks of the trade

    – II meccanismo fisiopatologico ostruttivo rappresentato dalla compressione ureterale estrinseca a livello dell’istmo è difficilmente diagnosticabile pre-operatoriamente e difficilmente riconoscibile intra-operatoriamente. Per tale motivo è sempre necessario eseguire una nefropessia laterale dopo pieloplastica e disgiunzione dell’istmo sebbene il decorso dell’uretere appaia visivamente libero in sede intraoperatoria. – L’istmo va completamente scheletrizzato prima di procedere alla sua disgiunzione. – I vasi istmici vanno legati il più centralmente possibile. – La disgiunzione istmica deve avvenire a livello del punto più sottile dell’istmo per minimizzare il rischio di temute complicanze quali sanguinamento e formazione di urinomi. – La chiusura duplice, parenchimatosa e capsulare, dei monconi dell’istmo consente di prevenire la formazione di urinomi retroperitoneali post-operatori. – L’uretere deve essere isolato sufficientemente per consentire un’anastomosi pielo- ureterale priva di tensione. – In presenza di calcolosi sovrapposta è possibile rimuovere i calcoli attraverso la pielotomia eseguita in corso di pieloplastica. – Al fine di evitare future aderenze tra uretere, muscolo psoas e polo renale inferiore con conseguente stenosi ureterale da compressione estrinseca, si procede a circondare l’anastomosi pielo-ureterale con il grasso perirenale. Alternativamente si può utilizzare a questo scopo un lembo omentale peduncolizzato.

    Decorso post-operatorio

    – Rimozione del drenaggio in 2.-3. giornata post-operatoria. – Rimozione dello splint ureterale in 7. giornata post-operatoria. – Misurazione della pressione pielica attraverso la pielostomia in 8. giornata: se inferiore a 15 cm H2O e se la susseguente pielografia anterograda trans-pielostomica mostra un deflusso libero si può rimuovere la pielostomia.

    Situazioni particolari

    In presenza di una pelvi intrarenale o in caso di stenosi giuntale recidiva è possibile ricorrere ad una ureterocalicostomia con anastomosi tra calice distale ed uretere (6).

    Bibliografia

    1. Das S, Amar AD. Ureteropelvic junction obstruction with associated renal anomalies. J Urol 1984; 131: 872.2. Glenn JF. Analysis of 51 patients with horseshoe kidney. NEJM 1959; 261: 684.3. Pitts WR, Muecke EC. Horseshoe kidneys: a 40-year experience. J Urol 1975; 113: 743.4. Culp PS, Winterringer JR. Surgical treatment of horseshoe kidney: comparison of results after various types of operations. J Urol 1955; 73: 747.5. D’Elia G, Gilfrich CP, Fichtner J, Hohenfellner R, Thueroff JW. Strategia chirurgica nel rene a ferro di cavallo: 25 anni di esperienza in 70 pazienti. Acta Urol Ital 1998; 12 (Suppl): 72.6. Dewan PA, Clark S, Condron S, Henning P. Ureterocalycostomy in the management of pelvi-ureteric junction obstruction in the horseshoe kidney. Br J Urol 1999; 84: 366.

    Jack W. McAninch – Peter R. Carroll

    Introduzione

    Anatomicamente, i reni si trovano in una posizione relativamente favorevole ben protetti nello spazio retroperitoneale, interposti tra la muscolatura del dorso e l’intestino. I traumi renali sono pertanto spesso associati a lesioni di altri organi. In caso si sospetti un trauma renale, la valutazione diagnostica da eseguire (urografia, TAC, eventualmente angiografia) dipende dal meccanismo patogenetico del trauma (chiuso o aperto) e dalla presenza di sintomi/segni associati (macro/microematuria, shock emorragico). In caso di traumi chiusi una valutazione radiologica va eseguita solo in presenza di ematuria macroscopica o segni di shock, mentre va risparmiata ai pazienti con sola ematuria microscopica (1). Al contrario, in tutti i pazienti con trauma renale aperto ed in tutti i pazienti con ematuria macroscopica (sia da trauma aperto che da trauma chiuso) è necessario eseguire una urografia ed una TAC (2). I traumi renali chiusi necessitano di una esplorazione chirurgica solo in circa il 10% dei casi. Al contrario, i traumi aperti (da arma bianca o da ferita da arma da fuoco) richiedono un intervento esplorativo fino al 76% dei casi (3).

    Indicazioni per la laparotomia esplorativa

    INDICAZIONI ASSOLUTE Emorragia persistente in quanto segno di una lesione parenchimale o vascolare estesa. II segno indiretto di questa situazione può essere un ematoma pulsante in sede retroperitoneale. INDICAZIONI RELATIVE 1. Stravaso di urina Una raccolta di urina nello spazio retroperitoneale può essere determinata da un danno a livello pielo-caliceale o da una lesione da strappamento dell’uretere dalla pelvi. Il riscontro di uno stravaso di urina nel retroperitoneo non rappresenta peraltro una indicazione alla laparotomia. Stravasi urinari modesti si riassorbono spesso spontaneamente, mentre in caso di reperti estesi è necessario eseguire un attento monitoraggio per il pericolo della formazione di un urinoma. In questi ultimi casi è di frequente riscontro la presenza di una lesione parenchimale che necessita di revisione chirurgica. In presenza di una raccolta urinaria purulenta l’intervento ed il drenaggio chirurgico del retroperitoneo divengono imprescindibili. In seguito a terapia conservativa di uno stravaso urinario esiste il pericolo di una successiva fibrosi retroperitoneale; è quindi necessario seguire attentamente questi pazienti nel tempo. 2. Parenchima renale necrotico Necrosi estese di tessuto renale possono indurre uno stravaso urinario persistente in associazione con la formazione di un ascesso retroperitoneale; in questi casi vi è l’indicazione ad una revisione chirurgica. Quest’ultima è da prendere in considerazione anche in caso di ipertensione arteriosa stabile dovuta alla presenza di parenchima renale ischemico. 3. Diagnostica pre-operatoria incompleta In caso di situazioni d’emergenza che necessitano di una laparotomia esplorativa d’urgenza si deve procedere, previa emostasi primaria, ad un’esplorazione dei reni. Può essere d’aiuto una urografia intraoperatoria. 4. Trombosi dell’arteria renale Una trombosi dell’arteria renale o di suoi rami segmentari con successivo infarto renale può essere la conseguenza di un trauma renale chiuso. Se il tempo di ischemia supera le 12 ore, le possibilità di una “restitutio ad integrum” sono minime. In questi casi risulta necessario, in corso di laparotomia esplorativa eseguita per altri motivi, l’exeresi del rene compromesso. L’eventualità di un rene ischemico come unico reperto patologico rappresenta un’indicazione all’intervento chirurgico unicamente in caso di ipertensione arteriosa associata (4).

    Tecnica operatoria

    PRINCIPI DI TATTICA OPERATORIA – La laparotomia mediana permette una ottima esposizione dell’intestino e di entrambe le logge renali. – Grossi ematomi retroperitoneali rendono difficoltoso l’orientamento spaziale intraoperatorio. Per una corretta esposizione del retroperitoneo bisogna inizialmente identificare e preparare il piccolo intestino e l’aorta. Il peritoneo posteriore viene inciso a livello dell’origine dell’arteria mesenterica inferiore. Se la presenza di un grosso ematoma impedisce una corretta visualizzazione dell’aorta, si procede con un’incisione medialmente alla vena mesenterica inferiore, considerata un importante punto di repere, con prolungamento attraverso l’ematoma fino all’aorta. – Prima di preparare ed isolare il rene è necessario identificare ed isolare i vasi renali. A questo proposito, il primo vaso ad essere facilmente localizzato è la vena renale sinistra, che passa ventralmente all’aorta. In seguito vengono identificate ed isolate le arterie renali destra e sinistra così come la vena renale destra. I vasi renali vanno clampati solo se strettamente necessario. – In caso di sanguinamento massivo di origine renale bisogna innanzitutto clampare l’arteria renale. Se si prevede un tempo di ischemia superiore ai 60 minuti è necessario ricorrere all’ipotermia. In caso di sanguinamento minimo si esegue prima l’emostasi a livello degli altri organi compromessi (fegato, milza, intestino). – Solo a questo punto si procede all’isolamento completo dei reni per l’individuazione di eventuali lesioni parenchimali e pielocaliceali tramite incisione peritoneale parietocolica. DEBRIDEMENT – Escissione del parenchima necrotico. Margini di sezione parenchimale sanguinanti sono indice di tessuto vitale e ben vascolarizzato. – Se possibile, è utile risparmiare la capsula per la futura chiusura e riapprossimazione del difetto parenchimale. – Per evitare la necessità di ricorrere ad una emodialisi è sufficiente conservare il 30 del parenchima renale. EMOSTASI E SUTURA DEI DIFETTI CALICEALI – I vasi renali intraparenchimali vanno suturati solo con materiale riassorbibile monofìlamento 4/0. – Vene renali segmentarle possono essere legate senza problemi. – La legatura di arterie segmentarle o interlobari comporta sempre il rischio di una ischemia di parenchima renale sano. – La chiusura di lesioni caliceali avviene con materiale riassorbibile 4/0 in continua. – L’iniezione retrograda di blu di metilene a livello della pelvi renale consente l’individuazione di eventuali stravasi di urina. COPERTURA DI DIFETTI PARENCHIMALI – Idealmente, la copertura di difetti parenchimali dovrebbe avvenire a mezzo della capsula renale. – Se ciò non è possibile (eccessiva tensione o lesioni estese a carico della capsula) è possibile, in alternativa, utilizzare un lembo omentale peduncolizzato od un patch peritoneale. NEFRECTOMIA PARZIALE – In caso di esteso trauma a carico del polo renale inferiore o superiore si pone indicazione alla nefrectomia parziale. – Il controllo del sanguinamento può essere ottenuto tramite semplice compressione manuale, al fine di poter evitare il clampaggio dell’arteria renale. – Resezione del parenchima traumatizzato o necrotico, legatura di vasi intra- parenchimali e sutura di eventuali difetti caliceali, copertura del difetto parenchimale con la capsula renale, omento o peritoneo. RENORRAFIA – In caso di una lesione mesorenale o di una piccola lesione polare è possibile, previa resezione del parenchima avitale, eseguire una chiusura primaria del parenchima renale (renorrafia). – Legatura di vasi intra-parenchimali e sutura di eventuali difetti caliceali. – Riapprossimazione dei lembi parenchimali. Se quest’ultima è possibile solo sotto tensione allora è necessaria l’interposizione di un lembo omentale. LESIONI VASCOLARI – Una trombosi dell’arteria o vena renale può conseguire ad un trauma renale chiuso. In questi casi non vi è di solito sanguinamento. – Lesioni della vena renale vanno riparate con una sutura non riassorbibile previa occlusione dell’arteria renale. – In presenza di lesioni di vene segmentarle si procede alla legatura di queste ultime.

    Bibliografia

    1. McAndrew JD, Corriere JN Jr. Radiographic evaluation of renal trauma: evaluation of 1103 consecutive patients. Br J Urol 1994; 73: 352.2. Miller KS, McAninch JW. Radiographic assessment of renal trauma: our 15-year experience. J Urol 1995; 154: 352.3. McAninch JW. Renal exploration after trauma: indications and reconstructive techniques. Urol Clin North Am 1989; 16: 203.4. Haas CA, Dinchman KH. Traumatic renal artery occlusion: a 15-year review. J Trauma 1998;45: 57.

    Kazunari Tanabe – Satoru Takahashi – Hiroshi Toma

    Introduzione

    L’espianto renale da donatore vivente si distingue tecnicamente dalla rimozione chirurgica del rene patologico (nefrectomia radicale per neoplasie renali, rene non funzionante, etc.). Due sono i principi fondamentali da rispettare per l’espianto renale da donatore vivente: preservazione della funzionalità renale e minima morbilità per il donatore, il quale si propone volontariamente per questo tipo di intervento. Gli esami pre-operatori obbligatori per il donatore vivente sono rappresentati da: 1) esami generali quali emocromo, glicemia, esami di funzionalità epatica, elettroliti sierici, sierologia per malattie infettive (epatite, HIV, HTLV-1, CMV, sifilide), ECG, radiografia del torace, prove di funzionalità respiratoria; 2) esami di funzionalità renale quali creatinina sierica, azotemia, esame delle urine, urinocoltura, clearance della creatinina; 3) diagnostica per immagini renale comprendente l’urografia endovenosa, l’ecografia renale, l’angiografia renale.

    Controindicazioni

    – Donatore monorene. – Reni con funzionalità limitata. – Reni patologici (è necessario escludere pre-operatoriamente patologie clinicamente silenti quali le glomerulopatie). – Patologie infettive acute a carico del donatore. – Patologie tumorali a carico del donatore.

    Tecnica operatoria

    SCELTA DEL RENE – Di regola si espianta il rene sinistro a causa della lunghezza maggiore della vena renale sinistra che permette una anastomosi più semplice a livello della fossa iliaca destra del ricevente. – In presenza di una differenza di funzionalità renale tra i due organi si espianta il rene con funzionalità peggiore. – Se l’arteriografia renale pre-operatoria evidenzia arterie renali multiple si espianta il rene con irrorazione arteriosa singola o irrorato da meno rami arteriosi. VIA D’ACCESSO – Retroperitoneale o trans-peritoneale. L’accesso retroperitoneale è comunque preferibile a causa della minor incidenza di complicanze. – Posizionamento del paziente in decubito “semi-laterale”. La schiena del paziente forma un angolo acuto di 30°-45° con il letto operatorio. Questa posizione permette un’ottima esposizione di aorta, vena cava inferiore e peduncolo renale. – Incisione a partenza dalla linea ascellare posteriore, prolungata oltre la punta della XI costa fino al margine laterale del muscolo rette dell’addome, quindi para-rettale fino a ca. 3-5 cm al di sotto dell’ombelico. Si ottiene in tal modo un’ottima esposizione dell’uretere. Se necessario è possibile eseguire la resezione di 5-7 cm della XI costa per esporre il polo renale superiore. SEZIONE DELL’URETERE – L’uretere viene sezionato il più vicino possibile alla vescica o almeno a livello dei vasi iliaci. Durante l’isolamento dell’uretere particolare attenzione dev’essere posta a non danneggiare l’irrorazione longitudinale ureterale a livello dell’avventizia. I vasi ureterali vanno sezionati e legati il più vicino possibile alla loro origine dall’aorta o dall’arteria iliaca interna. – La sezione primaria dell’uretere consente, durante i tempi chirurgici successivi, un controllo visivo della funzionalità renale e facilita la successiva mobilizzazione del MOBILIZZAZIONE DEL RENE – La mobilizzazione del rene inizia a livello del polo inferiore e procede in senso prossimale. – Tramite trazione del polo inferiore la mobilizzazione del polo superiore risulta più semplice. – La fascia di Gerota viene incisa fino alla capsula renale ed il grasso perirenale viene rimosso. In questa maniera è possibile controllare l’irrorazione del rene durante le successive manovre a livello del peduncolo renale vascolare (ad es. spasmi arteriosi durante la sezione dei vasi renali). SEZIONE DEL PEDUNCOLO VASCOLARE RENALE – Sezione e legatura della vena gonadica, vena surrenalica e di eventuali vene lombari Durante queste manovre è necessario sempre controllare il colorito e la consistenza renale cosi come il deflusso urinario dall’uretere sezionato. – Infusione di mannitolo per evitare spasmi arteriosi. – Vasi polari superiori di dimensioni inferiori ai 3 mm di diametro possono essere sezionati e legati. Vasi polari inferiori vanno invece preservati per assicurare la buona vascolarizzazione ureterale. – Sezione e legatura dell’arteria renale il più vicino possibile alla sua origine dall’aorta Se il rene e irrorato da più rami arteriosi è necessario sezionare e legare per primi i vasi di calibro minore. Ciò fa diminuire il rischio dell’insorgenza di una necrosi tubulare. – Sezione e legatura della vena renale al suo sbocco in vena cava inferiore. – Rimozione del rene dal campo operatorio. PERFUSIONE DEL RENE ESPIANTATO – Il rene espiantato va posizionato al più presto in ghiaccio. Segue la perfusione con soluzione di Euro-Collins dopo incannulamento dei vasi renali. – Durante l’incannulamento dei vasi bisogna evitare lesioni dell’intima – E necessario escludere la presenza di un trombo in arteria renale prima di procedere con la perfusione. Se presente, va rimosso primariamente per evitare l’occorrenza di un infarto renale. RICOSTRUZIONE DEI VASI RENALI IN CHIRURCIA DA BANCO – Se sono presenti due arterie di calibro differente è necessario anastomizzare l’arteria più piccola a quella di calibro maggiore con tecnica termine-laterale – In presenza di due arterie di uguale calibro si procede ad inciderle entrambe a becco di flauto per una lunghezza di ca. 5 mm e ad anastomizzarle latero-lateralmente per creare un unica arteria. – Per ricostruzioni più complesse è possibile utilizzare l’arteria iliaca interna del ricevente.

    Decorso post-operatorio

    Il donatore deve essere visitato regolarmente a distanza di 1, 3, 6 e 12 mesi dall’intervento. Dopo il primo anno sono sufficienti controlli annuali.

    Bibliografia

    Joachim Leissner – Michael Stoeckle – Rudolf Hohenfellner

    Introduzione

    L’espianto renale da cadavere può essere eseguito isolatamente o nel corso di un espianto multiorgano. Pre-requisiti per l’espianto da cadavere sono rappresentati dall’accertamento della morte cerebrale e dal consenso da parte dei parenti (in alternativa è sufficiente la presenza di un certificato di consenso alla donazione d organi). La valutazione dell’idoneità del rene da espiantare prevede l’esclusione di patologie renali pre-esistenti, l’esclusione di patologie trasmissibili con il trapianto renale e la valutazione del grado e reversibilità del danno renale facente seguito alla causa patofisiologica del decesso (ad es. shock, insufficienza renale, infezione) (1, 2).

    Strumentario

    – Catetere per perfusione del rene espiantato. – Soluzione di perfusione perfrigerata (soluzione di Euro-Collins, soluzione University ot Wisconsin, soluzione istidina-triptofano-chetoglutarato). – Ghiaccio sterile. – Container in Styropor e sacchetto di plastica sterile.

    Tecnica operatoria

    – Il paziente è in posizione iperestesa. L’incisione è cruciforme. I lembi triangolari della parete addominale vengono fissati alla parete toracica o a livello del bacino – Incisione della doccia parietocolica destra, del foglietto peritoneale posteriore a livello del polo cecale e della radice mesenterica fino al legamento di Treitz. – Incisione della doccia parietocolica sinistra. – Il pacchetto intestinale ed il colon vengono separati dal retroperitoneo e posizionati sul torace. – Sezione e legatura di arteria e vena mesenterica inferiore. – Identificazione ed isolamento degli ureteri a livello dei vasi iliaci – Isolamento della biforcazione aortica e posizionamento di doppie legature (non ancora strette) a livello dell’aorta distale o di entrambe le arterie iliache comuni – Isolamento di aorta e vena cava inferiore ed identificazione del peduncolo vascolare renale bilateralmente. – Sezione e legatura di arteria gonadica, arteria mesenterica superiore e tronco celiaco – Posizionamento di doppie legature (non ancora strette) a livello dell’aorta sottodiaframmatica. – Posizionamento di doppie legature (non ancora strette) a livello della vena cava inferiore sottodiaframmatica e a livello della sua biforcazione iliacale. – Legatura della vena gonadica destra. – Si inserisce il catetere per la perfusione a livello della biforcazione aortica e lo si sospinge verso l’alto bloccandolo con palloncino al di sopra dell’origine delle arterie renali. Si occlude cosi 1 aorta soprarenale. – Legatura delle suture previamente posizionate a livello dell’aorta distale e sezione di questa La sezione dell’aorta sottodiaframmatica avviene per motivi di visibilità alla fine dell intervento. – Posizionamento di un catetere per il deflusso della soluzione in vena cava inferiore e legatura delle suture previamente posizionate. – Perfusione con soluzione perfrigerata fino ad ottenere un colorito pallido a livello di entrambi i reni (di solito sono sufficienti 1,5-2 1 di soluzione) – Incisione della faccia ventrale della fascia di Gerota e mobilizzazione renale dopo separazione del surrene. – Durante la mobilizzazione renale si preserva il grasso perirenale – Isolamento dei vasi renali fino alla loro origine/sbocco in aorta/cava. L’arteria renale destra viene isolata completamente dopo aver sollevato la vena cava inferiore – Identificazione ed isolamento di eventuali vasi renali atipici. – Prelievo del pacchetto renale separandolo posteriormente dalla colonna vertebrale (entrambi i rem incluso ureteri, vasi renali corrispondenti con aorta e vena cava). – Milza e linfonodi vengono preservati per la tipizzazione tissutale. – Chiusura della parete. – Si procede quindi con la chirurgia da banco. – Incisione longitudinale della vena cava sulla sua superficie ventrale e dorsale facendo attenzione a non danneggiare lo sbocco delle vene renali. La vena renale sinistra viene spostata sulla destra in modo da liberare la faccia ventrale dell’aorta. – Incisione longitudinale dell’aorta e sezione dei vasi renali preservando un patch di almeno 1 cm di aorta e vena cava. – Legatura di vasi collaterali (vasi surrenalici e vena gonadica sinistra). – I reni così preparati vengono quindi riposti in sacchetti di plastica ripieni di soluzione conservante. I sacchetti di plastica vengono a loro volta riposti in ghiaccio e quindi in contenitori di Styropor pronti per il trasporto.

    Tricks of the trade

    – Durante l’isolamento dell’uretere particolare attenzione dev’essere posta a non danneggiare l’irrorazione longitudinale ureterale a livello dell’avventizia. – Per motivi di visibilità la sezione degli ureteri va eseguita preferibilmente poco prima dell’espianto d’organo. – Il rene dev’essere preparato preservando il grasso perirenale e limitando l’isolamento al fine di consentire una buona visibilità dei vasi renali.

    Situazioni particolari

    In corso di espianto multiorgano il rene è l’ultimo organo intra-addominale ad essere prelevato. Di solito l’espianto è facilitato dalla preparazione e perfusione precedentemente effettuata per l’espianto del fegato. Durante la preparazione del rene e dei suoi vasi è necessario prestare attenzione affinché venga preservato un patch venoso sufficiente a livello della vena renale.

    Bibliografia

    1. Belzer FO, Southard JH. Principles of solid-organ preservation by cold storace. Transplantation 1988; 45: 673.2. Pichlmayer R, Broelsch CE. Auswahlkriterien und Voruntersuchungen beim potentiellen Organspender. In: Pichlmayer R (ed.). Transplantationschirurgie, Band III. Springer-Verlag Berlin, Heidelberg, New York, 1981, p. 467.

    Kazunari Tanabe – Satoru Takahashi – Hiroshi Toma

    Introduzione

    Il trapianto renale in fossa iliaca presenta indubbi vantaggi rispetto ad un trapianto renale ortotopico essendo tecnicamente più semplice da eseguire e ponendo il rene trapiantato in un sito anatomico facilmente raggiungibile per eventuali manipolazioni post-operatorie (ad es. biopsia renale). Le indagini pre-operatorie obbligatorie a carico del ricevente sono rappresentate da: 1) esami di laboratorio comprendenti emocromo, creatinina sierica, azotemia, esami di funzionalità epatica, elettroliti sierici, glicemia, sierologia per malattie infettive (epatite, HIV, HTLV-1, CMV, sifilide), urinocoltura; 2) ECG, radiografia del torace, prove di funzionalità respiratoria; 3) gastroscopia per escludere un’ulcera gastrica; 4) esami immunologici (HLA, crossmatch linfocitico); 5) cistografia; 6) ecografia o tomografia computerizzata dei reni del ricevente. Il giorno precedente il trapianto da donatore vivente è necessario sottoporre il ricevente ad emodialisi (qualche ora prima se si trapianterà un rene espiantato da cadavere). Pre-operatoriamente si antagonizza l’azione dell’eparina sistemica tramite somministrazione di protamina. In presenza di anemia sono necessario trasfusioni di sangue fino a raggiungere un ematocrito del 30%.

    Indicazioni

    – Insufficienza renale terminale.

    Controindicazioni

    – Scarsa compliance del paziente che esclude la possibilità di una terapia immunosoppressiva cronica. – Infezioni acute. – Neoplasie maligne. – Anticorpi linfocitotossici contro il donatore. – Ulcera gastrica, la quale potrebbe esacerbare post-operatoriamente sotto terapia immunosoppressiva.

    Strumentario

    – Pinza emostatica di De Bakey. – Prolene o Nylon 5/0.

    Tecnica operatoria

    VIA D’ACCESSO – Incisione cutanea curvilinea a livello del quadrante addominale inferiore destro (trapianto di rene sinistro). – Incisione para-rettale transfasciale e legatura dei vasi epigastrici. – Isolamento della vena iliaca esterna fino all’origine dell’arteria iliaca interna. – La vena iliaca interna viene sezionata e legata solo in presenza di un bacino stretto che impedisca un’adeguata esposizione. – Sezione e legatura di tutti i rami venosi collaterali. – Isolamento dell’arteria iliaca interna. CHIRURGIA DA BANCO – Arteria e vena renale vengono scheletrizzate. – Clampaggio della vena renale e perfusione renale attraverso l’arteria renale per escludere la presenza di perdite vasali. Legatura di eventuali vasi collaterali dei vasi renali. ANASTOMOSI VENOSA – Si clampa la vena iliaca esterna con una De Bakey. – Escissione di una ellissi di parete della vena iliaca esterna corrispondente al calibro della vena renale. La vena iliaca esterna viene irrorata con soluzione d’eparina. – Due punti di ancoraggio alle estremità ed uno al centro della parete posteriore. – Anastomosi della parete posteriore con sutura in continua dal basso verso l’alto (Prolene 5/0). – Si sposta il rene dalla parte opposta e si procede all’anastomosi della parete ventrale con sutura in continua. ANASTOMOSI ARTERIOSA – Anastomosi termino-terminale dell’arteria renale con l’arteria iliaca interna. Sezione tra legature dell’arteria iliaca interna a livello distale e clampaggio della stessa alla sua origine dall’arteria iliaca comune con una Bulldog. L’anastomosi viene eseguita in continua dopo aver posizionato punti di trazione a livello della parete anteriore e posteriore. – In presenza di arterie renali multiple è possibile eseguire l’anastomosi su un patch aortico, termine-laterale in presenza di arterie renali di calibro differente o latero- laterale in presenza di arterie renali di calibro uguale. URETEROCISTO-NEOSTOMIA CON TECNICA INTRA-VESCICALE – L’ureterocisto-neostomia intra-vescicale viene eseguita secondo la tecnica di Paquin modificata. – Apertura della vescica lateralmente alla sua linea mediana, identificazione del trigono e formazione di un tunnel sottomucoso con tecnica button-hole con neo-orificio ureterale in prossimità dell’orificio originale. – Incisione longitudinale a becco di flauto di ca. 1 cm dell’uretere e punti di ancoraggio comprendenti uretere e muscolatura vescicale con catgut cromico 5/0 a livello delle due estremità ureterali. – Anastomosi muco-mucosa uretero-vescicale. – Chiusura vescicale in doppio strato: sutura in continua della mucosa con catgut cromico 5/0 ed a punti staccati del detrusore con PDS 4/0. URETEROCISTO-NEOSTOMIA CON TECNICA EXTRA-VESCICALE – L’ureterocisto-neostomia extra-vescicale viene eseguita in analogia alla tecnica di Lich-Grégoir (vedi capitolo 3.1 – Plastica antireflusso secondo Lich-Grégoir). – Si riempie la vescica con soluzione fisiologica attraverso un catetere trans-uretrale. – Incisione del detrusore vescicale per una lunghezza di 3 cm a livello della faccia vescicale antero-laterale fino ad esporre la mucosa che viene lasciata integra. – Incisione della mucosa vescicale all’estremità distale dell’incisione detrusoriale per una lunghezza di 1 cm. – Incisione longitudinale a becco di flauto lungo 1 cm dell’uretere. – Anastomosi dell’uretere con la mucosa vescicale con punti staccati in catgut cromico 4/0. – A livello dell’estremità distale dell’anastomosi si esegue un punto a tutto spessore vescicale per fissare l’uretere. – Il detrusore viene riapprossimato al di sopra del letto ureterale con punti staccati in catgut cromico 4/0 per una distanza di ca. 2,5 cm ad evitare una possibile ostruzione ureterale.

    Tricks of the trade

    – L’incisione para-rettale transfasciale presenta il vantaggio di essere associata ad un ridotto dolore post-operatorio rispetto alla classica incisione soprainguinale di Gibson. – Il clampaggio della vena renale e perfusione renale attraverso l’arteria renale, durante la chirurgia da banco, sono assolutamente necessari prima del trapianto al fine di escludere la presenza di difetti vasali, di frequente occorrenza durante l’espianto da cadavere. – I vasi venosi iliaci collaterali devono essere legati in maniera duplice dato che il clampaggio con De Bakey durante l’anastomosi comporta un notevole aumento pressorio a livello dei suddetti vasi con possibilità di sanguinamento ed oscuramento del campo operatorio durante l’esecuzione dell’anastomosi. – In presenza di un’arteria iliaca interna non idonea all’anastomosi (ad es. in presenza di placche arteriosclerotiche) si esegue un’anastomosi arteriosa termine-laterale tra arteria renale ed arteria iliaca esterna o comune. – Controllo dell’ampiezza del neo-meato ureterale al fine di evitare stenosi ureterali.

    Decorso post-operatorio

    – Rimozione del drenaggio para-vescicale in 2.-4. giornata post-operatoria. – Rimozione del catetere trans-uretrale in 7. giornata post-operatoria. – Rimozione della cistostomia soprapubica in 8. giornata post-operatoria.

    Situazioni particolari: trapianto nel bambino

    In corso di trapianto renale nel bambino il sito ove posizionare il rene è in sede retroperitoneale. Pertanto è necessario isolare oltre all’arteria iliaca interna anche l’arteria iliaca esterna. Inoltre l’accesso extra-peritoneale viene eseguito con incisione prolungata fino all’arco costale con esposizione dei grossi vasi retroperitoneali per un tratto di 3-4 cm. L’anastomosi venosa avviene con tecnica end-to-side tra vena renale e vena cava mentre l’anastomosi arteriosa tra arteria renale ed aorta. E da notare il fatto che in questo caso l’arteria renale si viene a trovare anteriormente alla vena cava. L’anastomosi viene eseguita a punti staccati: ciò permette un futuro accrescimento vasaio senza problemi rispetto ad una sutura in continua. I vantaggi di questo approccio sono rappresentati da una ridotta morbilità e dal fatto che il rene trapiantato si viene a trovare in un sito anatomico facilmente raggiungibile per eventuali manipolazioni post-operatorie (ad es. biopsia renale, ecografia). In bambini con peso corporeo superiore a 20 kg la tecnica del trapianto è identica a quella descritta per l’adulto.

    Bibliografia

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